mercoledì 7 dicembre 2016

Cristina Annino su “Naturario” di Antonio Bux

Con questo libro felicemente denso, dal titolo Naturario, uscito nella collana “Il gabbiere” per le Di Felice Edizioni di Martinsicuro (pp. 400, euro 15), Antonio Bux ha provato, con indubbio coraggio morale, a bruciare lo spazio, il tempo, andando contro al proprio stesso inconscio, organizzando un'architettura metafisica, applicando all'ipertrofia del reale grafico l'irrealtà dell'immaginazione e dell'esercizio poetico. Con impegno dunque totale, Bux si abbatte tra le macerie di un muro di cinta tanto vulnerabile, quanto indistrut­tibile, per poi tornare all'energia del quotidiano, e travasarla in versi.

Tutto questo lavoro significa, ovviamente, porsi dei problemi, e in modo talmente serio, da non poter non riconoscerne l’importanza, soprattutto la novità; penso che il suo lavoro poetico dovrebbe essere degno di un’attenzione superiore all’impegno critico rivolto a tanta poesia contemporanea. Perché queste poesie di Bux costruiscono la volontà appassionata di attraversare il proprio labirinto d'uomo, uscendone vivo, e forse migliore. Qui non si parla di cose lontane anni luce o incomprensibili ai più. Nessun giro a vuoto di parole ricercate per spazzare via l'incongruo che c'è in noi, ma vi scopriamo l’encomiabile sfrontatezza di offrirsi malato, malandato alla comprensione nostra e altrui, arricchendoci tutti di una possibile verità.

Mai come in questo libro ho creduto di capire il perché di un’azione così sovversiva ai li­miti del masochismo, ma tanto lucida nel dimostrarsi poi, definitivamente e con rara forza etica, polvere.

Cristina Annino



Quindici poesie da “Naturario”


FINE D’INCIPIT

Ero piccolo e vedevo gli alberi
parlare alle persone
nessuno rispondeva ma c’era
un bambino, si illuminava
in mezzo ai cespugli
credo fosse armato di cielo
era molto distante
a un certo punto smise di far luce
nel buio calpestato ricordo
gli alberi
cominciarono a dirmi


TUTTE LE MORTI MENO UNA

Tutte le morti meno una sorridono
se dentro di ognuno la vera morte
arriva al sorriso più puro dell’anima
terrena che si lascia; ed è vero ciò
che lascia ed è falso, per questo sorride
con la smania lontana di chi se ne va
sorridente alla morte in un principio;

sarebbe troppo grande, ferirsi così
e poi con l’orgoglio chiuso altrove
dare un sorriso speciale ad ogni morto
che passa e salutarne la fine, venuta
a noi onestamente come un cielo
piovuto dormendo, o un volo
nella rondine dell’occhio la sua
oscura alleanza


I SORRISI ALLUDONO A SATANA

Troppi sorrisi lasciati a inventare
i sorrisi alludono a Satana
Dio e il mare non sorridono e una donna
se sorride è perché persa
nella bara perfetta della carne
ma la carne sceglie di vendicarsi
ci sono demoni a tutte le latitudini angosce
che vibrano tra i desideri
il meno che non vediamo eppure muove
nei cunicoli ed è morte
senza dominio il bacio
è morte che sa indovinare
allora domandare baciando il cielo
il cielo mitico, pre-atlantico, il potente
demone socio del creato
che sorride con gli angeli impiccati
domandare se lassù
tra gli spazi a noi arresi
e che mostra noi infiniti
non è che una spalla il suo universo
girata dappertutto


RITO DELLA PRIMA SPECIE

Tu, che non sai aspettare,
consacrati al rito della
prima specie. Tu che
bastonato da te stesso
non vedi il bastone
che ti compie. I cieli
non ti sono più devoti,
poiché niente arriva
al di sotto, sgranato,
aspettando l’insieme.
Prepara, allora, la tavola,
prendi l’acqua, e poi dividila
dal calice. E nella mano
contenuta piega il pane
contro l’aria. E chiedi
all’acqua e al pane
come si sentono, se sono
come l’aria. Chiedi loro
se possono diventare vino.
E porgi il calice vuoto
contro la mano. Sussurra
dentro il buio le poche
parole che ricordi. Queste
serviranno ai più poveri.
I più poveri sanno aspettare


SE TI GUARDANO LE LUCERTOLE

Se ti guardano le lucertole
vuol dire che sei morto
e se sei morto come una pietra
levigata dal dolce sonno
al sole non muori e stai lentamente,
lentamente ignifugo
infestato dai funghi dell’espressione,
ancora permesso
di stare a tuo agio tra le flore, tra i panorami
nella perfetta moltitudine, lasciato stordito
dietro lo schermo dei vermi

continueranno le tue ossa a vivere l’ombra
e le parole, che tu guardi e non sai
continueranno le solitudini del corpo, le striature
perché parlare il tuo muovere l’ostacolo

se camminando sai di tacere


VIVO TRA LE NEVI FOSSILI

Ricorda il ciarpame. Riconcilia
la tua carcassa in putrefazione.
Ti caveranno le esche fuori
dagli occhi. Le bave dei protetti
scalderanno i pianeti, ci saranno
superstiti fritti, idee come alveari.
Poi volando, ricorderai il non volare
e i tuoi minuscoli fori, respiri bianchi
appesi alle pareti, come fossero
degli amici fantasma. In quelle ore
ricorderai confusamente. Le crepe
viziate al ritmo dei muri. E come
vanità dell’ombra, a penna farsi
strada tra i bisturi della condanna
la tua colpa d’oro. Anima tra le acque,
fluttui che oserai rischiare. Tornando
poi nelle carni, vivo tra le nevi fossili


L’ERBA POCA CRESCE A NOTTE

Nel grembo d’avorio della notte
giocano ai quarzi due gemelli
con gli zigomi simili con le gambe
simili e gli occhi di due
che si sono; e tra i quarzi una donna
uguali li lega, uguali li tiene contro il seno
e contro l’utero li figlia, uguali li strofina
a due gocce di seme dentro l’uno, dentro
la sua testa, gemella dentro l’ovulo diverso
delle gambe, così cresce o muore
l’uomo di quarzo nella notte

Fili d’erba comunicano.
Giovani, e sono esseri
sfilano come loro via
il vento, o forse in sfida
con chi non sa. È tradire?
Per questo prosciugano,
se danno via il sale,
le resine ancora fresche
o il fiato degli occhi,
per il vuoto mancare,
per soffiare via eterni?
L’erba poca a notte ricresce.
I figli dei lampi sono soli.
La luna nei lembi trasforma
ogni tenebra umana
ricambia, di non vita


E VEDO IL GHIRO NELLO STRANO LETTO

Sogno sempre ad una certa
ora del tramonto qualcuno
che viene a sognarmi accanto
un sogno nuovo, di sempre.
Ripete la mia stessa domanda:
se è il tramonto che ci sogna
o forse il sogno del tramonto
cos’è che viene, ad una certa
ora per farci svegliare? Forse
solo qualcun altro, di lato,
che tramonta

E vedo il ghiro nello strano letto
dorme con me tra i denti addormentati
dorme e poi muore al mio risveglio
ed io sono ghiro, mi sogno alzare il cielo

e se torni da me lo strano letto cade
se tu ritorni io sono ghiro e tu non dormi
e scompari tra le fodere tu sogni i miei deserti
le foreste disabitate dove i ghiri mutano

in uomini ma se tu torni in me c’è un ghiro
bianco, un uomo di tessuti un invertebrato
nel tuo silenzio c’è un uomo che ti ama
e un ghiro alla lontana che odora del tuo bosco


API CHE NON ESISTONO

Volano api attorno incessantemente volano
anche a sera dentro il miele rimasto degli occhi
ma non sono api, non sono insetti né sono gialle
forse luci forse notti rimaste appese per sbaglio
dentro agli occhi veri o in un abbaglio precedente.
E mai che se ne acchiappi una, di ape maledetta
mai che si fermino gli occhi o la luce di questi
ronzii notturni a sciami di bestie che non esistono.

Ma volano intorno, volano azzurre volano mentre
l’io scriteriato un banco di nebbia adulta


TEORIA DEL LUPO INDIRETTO

C’è un lupo che ognuno cova
lontano da sé ma per davvero
tra i denti. In qualche luogo
più solo di dentro in un vago
momento si rizza di vita.
E non è paura, desiderio di fare
ma vista del bene mancato
ciò che dilania alla luna e che
nella luna manca guardando.
Cresce di lato, laggiù nel corpo
completo della fame: al vibrato
del male instancabile il ghigno.
E così d’ululato stimola e danza:
in un azzurro lontano il plenilunio
mormorato universale all’occhio
del comando umano innaturale.
Giostrare tutto allora di carne
senza il difetto o comando dal petto
ma in fitta di trame, il chiodo più lungo
che va di speranza, ficcato indiretto


IL SOLO AMORE ETERNO

La Madre Superiore è nei campi,
il dio del Perdono la coltiva. Cresce
nelle notti i suoi frutti, li cresce
per i figli spaventati. Ma negli astri
lontani e nelle viti, nei grani oscuri
per due uve di sogno altre madri
erose vedono uccelli. Come i voli
sognati bambini, come sugli antichi
precipizi dove gli angeli dormono
segreti quella semina. La semina
del nuovo giorno, nel sole dimentica
ogni madre e rompe dal nido. Il diavolo
celeste invece apre le mani, è la Madre
sotterrata, la mano che per noi smuove
il chicco disumano e la terra. E sarà
sera il pregare di una madre. Sarà
preghiera il suo morire, sarà l’ultima
sua rosa il solo amore eterno



INTERMEZZO

...e sarò io, in questo momento, tra dieci anni
o sarai tu, di nuovo a toccarmi i capelli, a dirmi
che le cose non sono più cose da tempo
che sono finite le ciocche dei versi
e che sarò ancora io
e sarò vecchio, o sarai tu nella testa
o forse un’illusione ripetere il mondo
più giovane o più presente, e sarò io
disteso oggi sul letto mentre accarezzo
una ciocca di me, dei miei capelli tra dieci anni...


QUANTO PIÙ DI BUIO FAI CORAGGIO E IL MARE

Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, tu non puoi vederlo,
ma fagli coraggio e poi col buio
non più tuo forse tornerà più mare.

Quanto più di buio fai coraggio
e il mare, ora che l’ascolti e non è
mai stato tuo, ora che nell’eco
suo ti vedi, ora che diventi come il mare

quanto di più buio fallo e il tuo ricordo
senza il mare, forse è il tuo ritorno,
e come mai nessuno segui l’altra scia
ora che non vedi forse è lei che ti conduce


2.

Io non so se l’avorio supererà il bianco clandestino
della mia vita notturna non so se sarà daltonico
il vino o se la fantastica selva fiorirà dappertutto. E
tu non sai chiaramente la lotteria del capitato o del
fecondo dove combacia, se nella steppa
del materiale o se nell’imbuto del giorno. Come
non sappiamo il quadro dell’occhio quanti soli
frammenta al minuto, o se diventa tenebra
incinta. Ma io sogno di esser vivo se tu sogni
di esser meno. E se tu sogni di esser meno io vivo
del tuo sogno. Ma se nel sogno io rifiuto
il manto caprino, un volto esagonale si dilata. E se
non sogno più diamanti è per colpa del mestiere
che frantuma ogni promessa. Se tu non sogni
delle case o se non entri nei fantasmi allora è vano
il mio distacco. E se mia madre è stata un sogno,
una cicogna nera ora vola sul mio braccio e sulla
pelle. E se tua madre non è stata in grado di sognare
a cosa serve la preghiera che cosa stringe nella
pietra se non fa male la tua mano. Se la tua mente
non esplode quale miccia si commuove quale
fiamma cade invano ma gentile, quale ragno tappa i
buchi quale fonte cede i segni, quale mare attraversa
dentro. Se nella mano si conclude il sogno di una
vita è per forza d’ogni bene è per vincere la fame
di un povero caduto. Ma tu non puoi risolvere i nodi
se sei nodo, non puoi la spada se sei scudo, non puoi
girare vuoto il tuo divieto


DIO È IL SILENZIO

L’altro giorno ho scoperto
che Dio è il silenzio.

Come l’ho scoperto
ha parlato un’altra voce
di me, ed ero io
che zittivo.

Le piante presero a guardarmi
con la paura di essere
ascoltate. E così gli esseri
lucenti e il materiale terreno.

Parlavano capendo il mio
sguardo. L’ho scoperto
scrivendo più niente




Antonio Bux (Foggia, 1982), ha pubblicato vari libri, sia in italiano (tra i quali Trilogia dello zero, Un luogo neutrale, Kevlar) che in spagnolo (23 – fragmentos de alguien, El hombre comido). Traduce dallo spagnolo, occupandosi prevalentemente dell’opera di Leopoldo María Panero. 

20 commenti:

  1. Grazie a Cristina per le belle parole e per la sempre costante attenzione che offre al mio scrivere... e grazie a Stefano Guglielmin per aver accettato di ospitare sul suo spazio questa nota e la conseguente selezione di testi tratti dall'ultimo mio libro. E infine grazie agli eventuali lettori e commentatori, sono a disposizione per qualsiasi appunto, sia critico che amichevole, qualora ci fossero degli spunti, sarò ben lieto di commentare. Un caro saluto a tutti e buone prossime festività.

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  2. Ciao Antonio, benvenuto. Al momento hai avuto 180 entrate. Niente male.

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    1. Antonio Bux11/12/16 12:02

      Caro Stefano, mi fa piacere. Avevo inviato il link a vari miei contatti, tramite mail. Evidentemente, qualcuno è passato a dare 'un'occhiata :-) Nel caso ci fosse qualche intervento, non mancherò di commentare. Ancora grazie e buon tutto. Antonio

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  3. Antonio Bux regala pagine non certo light, la buona poesia è dalla sua parte e questo lavoro dimostra.

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    1. Infatti, solo pagine obese e al colesterolo :) grazie per il passaggio e l'apprezzamento, Flavio, un abbraccio!

      Bux

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  4. Interessantissima presentazione. Annino coglie con efficacia la forza sotterranea delle poesie di Bux

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    1. Gentile Emilia, grazie per il passaggio ed il commento. In effetti, dici bene, è una presentazione... il libro è molto vasto e deleterio, bisognerebbe visionarlo nella sua interezza per capire di cosa si tratta. Intanto ti mando un caro saluto, e tante buone cose.

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    2. Antonio non ti nascondo che mi farebbe molto piacere poter approfondire soprattutto quanto definisci deleterio. Questo post mi ha permesso di leggere alcune tue poesie, fino ad ora non avevo avuto modo. In genere leggo e lascio che la poesia fiorisca dentro, nel tuo caso ho voluto lasciare un piccolo commento. Un caro saluto.

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    3. Cara Emilia, grazie per l'occasione di approfondimento. Provo a semplificare, improvvisandoti una risposta; beh, deleterio in tanti sensi, ovviamente: in primis per me, autore, che ho avuto l'ardire, tutto a mio discapito, di pubblicare un libro (e non è la prima volta) di una mole così consistente. In un ambiente dove la "prassi" è di centellinare, mutilare, sacrificare e limare la propria indole, fino ad arrivare (per chi ne ha e riesce) al proprio osso sostanziale, e dunque pubblicare i pochi resti di una lotta, quasi sempre impari e da dove se ne esce rotti, se non proprio sconfitti. In questo caso, fottendomene altamente dei vari dogmi (ogni poeta segue una propria "prassi", mi viene da pensare al poeta tedesco Paul Wühr, che viveva in italia ed è recentemente scomparso, e che soleva pubblicare libri corposissimi e vasti) ho provato a combattere contro me stesso (il non me stesso migliore di me), offrendo una lotta contro il testo, contro lo spazio, contro il corpo della parola, in una lotta ossessiva e di tensione (la tensó, in questo caso, letteralmente) dove spero di esserne uscito vivo, o, nella migliore ipotesi, abbastanza morto da tornare in vita. E, in secondo luogo, il deleterio che ne consegue, di chi legge e di chi ha il merito di provarmi a stare dietro. Perchè so benissimo che è dura dare ascolto ad un'opera così "pesante" e "indigesta" a tratti. Ma ognuno ha la propria morte, ad ognuno la morte che si merita. Penso che un'opera sia fatta di "cose deleterie", di ossessioni, di forze occulte, infine, parliamo di energie che non sappiamo maneggiare, ma siamo maneggiate da queste. Il mio solo scopo era di dimostrarmi quanto di deleterio posso sopportare, e se riuscissi a durare intatto in questo deleterio, fino ad arrivare ad una forma accettabile di opera. Trattasi, soltanto, di una pietra prevalentemente biologica, come dicevo, ogni poeta è differente, c'è chi scrive 3 poesie l'anno, e chi ne scrive 3 al giorno. Bisogna certamente limarsi, difendersi da se stessi, nel mio caso ho provato a lasciare ciò che di buono avevo scritto in questi tre anni, ciò che di deleterio ho provato a mistificare per tradurre in messaggio, in energia che possa dare spinta a qualcuno, verso un abisso comune. Mi scusino tutti la poca chiarezza, comunque se vuoi approfondire ti lascio la mia mail: buxvsbooks@gmail.com

      Grazie ancora e a presto!

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  5. Grazie per queste note di lettura. In generale, io credo che sia parte di una poetica sia selezionare e sia non selezionare. La mia, di poetica, sta dal primo versante: poche ma buone. L'autore dunque come primo censore, severissimo.

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  6. e ti scrivo, eccome se ti scrivo. Conosco la lotta di cui parli e apprezzo il coraggio. Riuscire a conservare quanto si è tradotto di un momento è quasi un atto eroico, soprattutto considerando l'attuale tendenza alla scarnificazione del verso, soprattutto vincendo il peggiore demone che si possa incontrare sul cammino della scrittura, se stessi. Ogni parola diventa un incubo con cui misurarsi a distanza di tempo, una fonte di riflessione e cambiamento. A presto.

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  7. Evidentemente, caro Stefano, non sono riuscito a spiegarmi bene (come mio solito... :-) ) Non volevo dire che non seleziono e che quindi pubblico tutto ciò che scrivo, ma, essendo uno che ha scritto molto (grafomane direbbero molti, come lo hanno detto di tanti poeti), è una naturale conseguenza che io possa partorire un libro di grosse dimensioni. (Se uno scrive 3 poesie al giorno, per esempio, sono 90 poesie al mese, e per 12 mesi sono 1000 poesie, credo...), e se si moltiplica per tre anni questa disciplina, vien fuori una cifra di 3000 poesie, dunque 300 diviso un quattrocento o meno, fa un 15 per cento di quello che si scrive... ok sto dando i numeri! :-) dunque, una selezione mi pare ci sia... :-) Anche perchè, a dire il vero, ho letto libri "selezionatissimi" dai propri autori, che magari hanno sedimentato quel libro, di 50 pagine, per 10 anni... ma non mi pare a volte siano buoni risultati. Insomma, se non c'è il talento, la regola vale poco... E questo è tutto dire... Non che io lo abbia, il talento, di certo. Ma ho voluto mettermi in gioco per vedere se riuscivo a "durare", tenendo testa alla titanica impresa. Ovviamente anche io ho pubblicato libri piccoli, di 80 pagine. Non era questo il senso che volevo esprimere, insomma, non volevo parlare di dimensioni dell'opera, ma di atteggiamento nei confronti della stessa... Io sono molto severo con me stesso, per questo alcuni testi, quando non li vedo buoni e funzionali per il progetto, li cestino direttamente. Ciò che perdura nel tempo è ciò che credo sia uscito già limato. Al massimo ritocco qualche sinonimo, qualche punteggiatura... Tanto si sa, chi scrive lo sa, rimarrano, se dio vuole, 4-5 poesie a testimonianza di ciò che si è stati, che si scriva 10000000 poesie o 10 l'anno, poco importa...

    Per quanto riguarda Emilia, mi fa piacere tu abbia capito le mie intenzioni, magari barbariche, di annotare il mio quotidiano disperdermi, poichè io, come penso molti altri, vivo perennemente nello stato di abbandono. Io vivo la poesia e questo senso di stare nel mondo 24 ore al giorno, e non solo il sabato e la domenica. Molti di noi sapranno di cosa parlo, sicuramente.

    Dice bene Stefano che si deve vigilare, stare attenti, quasi escludersi da se stessi e aspettare che ritorni la vita a dirci dove siamo stati. Tuttavia, mi sono imposto di dare alle stampe questa sorta di Leviatano, per far intendere che ci sono altre strade, altre persone che scrivono poesia, con un impegno, magari rozzo, magari demenziale e ossessivo, che li distrugge e li rende al prossimo già consumati.

    Insomma io vi ho dato la mia anima, con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue falle e ed i suoi moti ondosi dove è possibile risalire dal fondo... tutto qui.

    Questo libro l'ho voluto dare agli altri per dire, ecco, c'è dell'altro, bisogna avere anche questo coraggio di dirsi troppo, magari per lasciare niente, correrò questo rischio.

    Ma vi starò già annoiando, però che volete, si è sempre soli a straparlare di queste cose, perlomeno io, abbiate pietà per un morto che vuole ancora vivere :-)

    Non a caso, come esergo al libro, ho citato 3 autori, pensando potessero fare da apripista al lettore per indicare il perchè di una cosa tanto inusuale quanto rischiosa. Ve le anticipo, grazie ancora di tutto e del dibattito. Un caro saluto :-)

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    1. Sì, capisco bene la tua fusione poesia e vita, e la rispetto. Grazie per aver alimentato la discussione in questo blog che sta piano piano scomparendo dall'attenzione pubblica (se mai ce l'ha avuta...)

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    2. Sì, l'o notato. Ma mi pare stia scomparendo l'attenzione in generale verso vari blog storici (oltre che sul tuo, anche su NI, o da Marotta, o da altri, vedo pochi commenti), almeno, appunto, a livello di commenti, poi non so le affluenze. Oggi ognuno si fa il suo bloghetto, me compreso, sia gente preparata che meno, ognuno col proprio orticello insomma, e si condivide sempre meno l'esperienza altrui per farla comune, a quanto pare. Ma mi ci metto in mezzo anche io, sarà che questa crisi, esistenziale/economica, invece di avvicinarci ci sta rendendo sempre più lupi e iene. Sarà, ma speriamo in un cambiamento positivo, per tutte le cose belle che sappiamo (r)esistere. Forza e coraggio... Grazie a te per l'ospitalità, ti auguro buone feste, per te e per i tuoi cari. A presto, Antonio :-)

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  8. “Una volta stabiliti, i rituali costituiscono un
    cerchio magico che trattiene gli dei che sono
    lontani dal mondo.”
    Simone Weil
    “L’opera perfetta non esiste. Anche i più
    grandi, persino quelli davvero grandi sono infatti
    talmente problematici, anzi sono grandi
    solo se e fintanto che sono problematici, ma
    mai perfetti. Per la perfezione noi costruiamo
    l’immagine degli dei; per gli artisti sempre e
    solamente quella del titanico e tragico imperfetto.
    E quanto più spesso si rompe una linea
    dentro di sé, a tanto maggiore ragione. Se si è
    uno spirito dirompente si deve per forza rimanere
    imperfetti.”
    Gottfried Benn
    – 5 –

    “Che cos’è un ossessivo? In sostanza è un attore
    che gioca la sua parte ed esegue un certo
    numero di atti come se fosse morto. Il gioco a
    cui si dedica è un modo per mettersi al riparo
    dalla morte. È un gioco vivente che consiste nel
    mostrare che è invulnerabile. [...] Attua una
    sorta di esibizione per dimostrare sin dove può
    arrivare in questo suo esercizio, che ha tutte le
    caratteristiche di un gioco, compreso il carattere
    illusorio – vale a dire sin dove può spingersi
    l’altro, il piccolo altro che è il suo alter
    ego, il doppio di sé. Il gioco si svolge davanti
    a un Altro che assiste allo spettacolo. Egli
    stesso è solo spettatore, e in questo sta la possibilità
    stessa del gioco e il piacere che vi trova.
    Ma non sa quale posto occupa, ed è questo a essere
    inconscio in lui. Ciò che fa, lo fa allo
    scopo di avere un alibi. Può intravederlo, questo
    sì. Si rende conto che il gioco non si gioca
    là dove lui è, ed è per questo che quasi niente
    di ciò che avviene è per lui veramente importante,
    ma ciò non vuol dire che sappia da dove
    vede tutto questo.”
    Jacques Lacan



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  9. Finalmente trovo il tempo per leggere (ri-leggere) Bux e aggiungermi ai commenti. Dico innanzitutto che nessuno dei testi qui riportati manca di frasi e versi felici, e che tutti sono testi di alta pulizia. Il lavoro di scrittura
    che ha proceduto questo ultimo libro e quello che lo ha prodotto, sono ovviamente passati per una mole enorme di testi, il che può spaventare, dissuadere o lasciare indifferenti, la qualità del risultato però è indubbia, dato che due cose si chiedono al poeta, abilità tenica e detti memorabili, e Bux come ho detto sopra
    passa entrambe le verifiche. Del suo mestiere non possiamo non essere ammirati, e i suoi esiti più felici non potremo dimenticare.

    Poi: l'insieme di questi testi diventa un
    colossale castello italiano d'aria,
    salgono verso l'alto come una montagna di mattoni
    trasparenti perché sfuggevoli, inafferrabili,
    ma leggendoli l'uno dopo l'altro abbiamo il senso di una struttura, e che salirà lontano. Credo sia questo il risultato della loro coerenza e di una voce ossessiva e genuina.
    In tal senso Bux resta esempio (unico nel panorama contemporaneo) di fiducia nella poesia *nel suo insieme*, a dispetto della preoccupazione per le parti individuali.

    Infine, ognuno dei testi individuali
    presenta invariabilmente uno scarto o uno scambio, spesso dovuto a uno screzio della sintassi, o a un'ellissi del verbo.
    In questi punti speciali gli specchi riflettenti e sfuggevoli che frustrano il lettore per la maggior parte del testo, si illuminano della luce insolita e questa sì indimenticabile di poesia vorrei dire stupefacente. Gli esempi più interessanti si possono vedere in certe chiuse:
    "Ma tu non puoi risolvere i nodi /
    se sei nodo, non puoi la spada se sei scudo, non puoi / girare vuoto il tuo divieto"
    o " Giostrare tutto allora di carne /
    senza il difetto o comando dal petto /
    ma in fitta di trame, il chiodo più lungo /
    che va di speranza, ficcato indiretto".

    Dice assai bene allora Cristina Annino di una cifra etica dello scrivere di Bux, e parla di polvere. Della polvere questa scrittura ha davvero la natura onnipresente, integrata e integrante. Quanto all'etica, il discorso in un testo di Bux si legge come uno sforzo di far chiarezza, e gli scarti di cui sopra i momenti
    "eureka" in cui la chiarezza arriva.
    Il fatto che possiamo esaminare tutto l'assieme davanti ai nostri occhi, materiale preparatorio per così dire e conclusione fulminante, testimonia l'onestà disarmante e assieme la scommessa vincente di un poeta che ha una fede incrollabile nella propria onestà "in toto".

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    Risposte
    1. Caro Pietro, grazie mille per il tuo articolato intervento e per la tua sempre cara e viva attenzione. Sono contento tu abbia apprezzato i testi qui proposti, tu hai avuto modo di leggerne parecchi anche in altre occasioni. Avrei piacere di mandarti poi questo libro, perchè tu possa averne una visione d'insieme più globale. E sono contento tu abbia apprezzato quel tentativo che chiami di "fiducia" e di "insieme", nei confronti dell'"opera" che è poi la vita stessa in molte delle sue forme, anche difettate, però si spera genuine. Ancora grazie per l'attestato di stima, e per la tua testimonianza. Un abbraccio e buon fine anno, e in bocca al lupo per i tuoi progetti!

      Un abbraccio, Antonio

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  10. Risposte
    1. Antonio Bux16/2/17 08:06

      Grazie mille, signor Andrea. Un caro saluto!

      Bux

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    2. Gentile Andrea, grazie per il suo commento e per l'apprezzamento. Un caro saluto!

      Antonio

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