domenica 3 marzo 2013

Cristina Alziati



Ho conosciuto la poesia di Cristina Alziati nel 1989, quando uscì, per il Bagatt, le giornate di poesia 89, il libretto fascicolato di un premio con una giuria prestigiosa (Majorino, Conte, Cucchi, Spaziani, De Angelis, Del Giudice, Pazzi). Già allora scriveva versi come questi: "nulla ci sia più così vicino / ad una terra, se la fronte / chiama e alta (dove, ora che / vivi, prenderà piega il mondo?)". Evidente, qui, l'iperbato, di cui è ricco anche il suo nuovo libro, Come non piangenti (Marcos y Marcos, 2012). Figura alta, l'iperbato attesta una scelta di campo, ossia il desiderio di inserire la propria parola nel solco di una tradizione importante, scritta piuttosto che orale, tensiva anziché fluida. Eppure, in generale, la Alziati cura tantissimo il registro comunicativo, limando lo scarto ritmico, arrotondando l'impatto fonetico. L'artificio retorico, come in Petrarca, le serve per acquietare, nello stile, quanto la nuda vita racconta, tra malattie e drammi, personali e storici. Le note finali rinforzano l'assunto. In esse si legge, infatti, di fosforo bianco, uranio e ossido di etilene usati nella prima guerra del Golfo, e di baraccopoli, di acquitrini e cumuli di immondizie, del potere quando smette d'avere legittimazione. Ma appunto questa cronaca feroce, persino quella incisa sulla carne, sfuma gli "aculei", s'addolcisce nel verso senza perdere potenza, si fa segno di una lingua che preferisce guardare il mondo da una stanza e "chiamare per nome ogni cosa" prima che sia perduta. Ogni cosa che piange, ma che sa trattenersi; ogni cosa che ama, proprio perché mortale.

Il titolo ci consegna questo spirito creaturale, attraversato dalla vocazione al finito, nella sua versione più estrema e filosoficamente densa, quella di Paolo di Tarso: "Gli aventi donna come non aventi, i piangenti come non piangenti”. E' Giorgio Agamben, in un densissimo studio su San Paolo (Il tempo che resta, Bollati-Boringhieri, 2000) a sottolineare l'importanza di quel "non", che porta all'essere la negazione quale dimensione dell'aprirsi senza mai risolversi dialetticamente, senza mai essere tolta dal sì della vita. Perché – potremmo dire, semplificando la riflessione di Agamben – il sì senza resto, senza ombra, senza parola ferita, diventa volontà di potenza, diventa dominio. Mi pare sia questo il messaggio che Cristina Alziati vuole infondere al tempo che ci resta, un tempo pieno soltanto se animali, uomini e piante partecipano dell'infondatezza radicale, che li chiama alla scelta ontologica, al decidersi per l'impossibilità del definitivo, dell'assoluto, sia esso luce o buio, salvezza o dannazione. Come non piangenti, ma piangenti, come non parlanti, ma poeti.



Presto, dai vetri aperti stamattina
un baccano di uccelli s'è levato. Folli,
che fate, ho domandato alle chiome
ossidate nel giardino, è novembre.
Sbrigatevi, andate. Lasciate ch'io qui
resti ancora a chiamare per nome ogni cosa,
il grido la piazza. l'arrotino, a ripetere
il fosforo, il fosforo, il cargo, è mattina.
Il mendicante anche se giura
non verrà creduto. Lasciateci.
Che qui resti ancora a guardare, e altri
attraverso il deserto dei rami
tralucano, alberi.


A mio padre

Ti sei lavato, hai indossato abiti intatti,
poi la mente mi slitta ad ogni passo.
Non ho voluto vederti, di certo
ti avranno sdraiato.
Solo vorrei sapere, oppure è un sogno,
che non fu angoscia la tua meticolosa
cura – i documenti posati sulla panca
la sedia che portasti nel giardino, il nodo -
ma un qualche imperscrutabile, ma lieve,
stato. Tutto è con te, segreto.
Forse a spartirne il peso io serbo,
dell’ atto tuo, l’altro versante – il tonfo
della sedia sulla pietra, e la tua assenza
e il dondolio, che cullo, lento, lentissimo
del corpo sotto il pergolato.


da I riccioli della chemio

1.
Come vuoi che racconti dei mesi
di quello straordinario inverno
di gemme anche quassù, e sole
fra i rami nel dicembre, quando il manto
di neve ero io, la corteccia glabra
lo scricchiolio del gelo nelle ossa – per quale
voce straordinaria dirti l’inverno,
quando l’inverno ero io?


Ora risorgi. Chiudi un libro. Esci.
Entri nei varchi fra le gocce, nella pioggia.
Quello che deve sopravvivere viva.
Ancora vuoi sapere il capezzolo
dov' è, dove le carni e quale impresa
prelevi, dove porti, come
venga smaltito questo Sondermùll,
ancora vuoi parlare con l'estroso
chirurgo cucitore, che nei lembi
della pelle ti ha cucito
la discarica all' anima.


*
Tracce II


a Etty Hillesum


Non riesco a inginocchiarmi, scrivevi
e hai portato, dentro i giorni dannati dei campi,
per proteggere dio una gioia.


Forse pregare fu quello - le tue ginocchia,
ossa d'ombra sulla pietra, e tu
per questa terra a camminare in volo.


Ora tu credi che basterebbe un niente,
sedere ad un tavolo sgombro
in un'ora propizia, e lavorare ai versi
lavorare ai frammenti. Io sono fatta invece
di questo non scrivere giorno per giorno ;
dentro il sedimentarsi delle piccole
cose, e delle grandi, sono
l'anima ingombra del loro farsi mute.



Terza lettera ad Antigone

Non ti mando la foto, ti descrivo.
Sulla riva, distesi sotto il sole, vedi,
i bei bagnanti, e i pueri, e il cadavere
poco discosto, soltanto dall’acqua lambito.
Non fosse per i vestiti – per gli stracci -
diremmo che è uno del gruppo, fra quelli
ridenti, uno vivo. È un giorno di festa.

Arriveranno gli addetti, più tardi,
a sgomberare quel corpo; altrove
si sbrigherà una pratica,
faranno un’autopsia, verrà inumato.
Questo però non c’è, nella fotografia.

E nemmeno la bava, domani, dei giornali
né la pena beghina per quel morto,
“zingaro – dirà qualcuno – ma bambino…”
C’è questa roccia, invece
fra il cisto e i rosmarini,
questa roccia residua da cui scrivo,
e dentro l’aria una preghiera
e il mare intero, lento
che prima degli addetti il corpo
si porta via, l’istante prima.
C’è il resto del paesaggio a sua custodia.


Su you tube una bella intervista 

Cristina Alziati è nata nel 1963 e ha studiato filosofìa. Il suo esordio poetico risale al 1992, quando una sua silloge, presentata con grande convinzione da Franco Fortini, esce in un'antologia. Suoi versi vengono poi pubblicati in varie riviste di poesia, e lei stessa distribuisce copie ciclostilate della sua prima raccolta poetica, suscitando reazioni entusiastiche. Nel 2005 pubblica il suo primo libro, A compimento (Manni), che si aggiudica il Premio internazionale di poesia Pier Paolo Pasolini e giunge finalista al Premio Viareggio. Cristina Alziati vive a Berlino, traduce poesia e narrativa dal tedesco e dallo spagnolo.

7 commenti:

  1. Ehhh, caro Stefano, la conosci dal 1989 e ce la proponi solo ora? Condivido in pieno il tuo apprezzamento e vado subito a sentire e vedere l'intervista.
    vincenzo celli

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  2. sono rimasta molto colpita dagli ultimi versi dell'ultima.. c'è luce, malinconia, uno stacco a un livello superiore.. insomma, nulla possono le cose umane su uno spirto liberato del corpo..

    mi piace molto questa autrice..

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    1. potrebbe essere altrimenti?

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    2. certo che no, ma saperlo dire e farlo sentire non è scontato.. :)

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  3. quella "A mio padre" ha un pudore straziante...
    Brava!

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