venerdì 19 febbraio 2016

Fabia Ghenzovich


Con il suo stile compatto, avaro di aggettivi e segni d’interpunzione, amico del novenario ma che non disdegna il verso lungo e il segmento discorsivo, Fabia Ghenzovich, in Totem (Puntoacapo, 2015), prosegue la sua ricerca intorno alla natura umana e alla sua declinazione di genere. Questa volta articolandola nell’allegoria della lupa, quale emblema antropologico dell’origine ferina degli uomini, corrosa dalla civiltà fino a cacciarla nel profondo di ciascuno, nel rimosso colpevolizzato, che tanti danni ci procura. Alle spalle ci sono Rousseau e la psicoanalisi, ma anche uno sguardo attento al presente, alle sue meschinità mercantili. Non a caso, sullo sfondo di questo sfacelo, c’è Venezia, città mercantile per eccellenza nonché terra madre dell’autrice. Della quale, specie nel poemetto collocato verso la fine del libro, ci dà un ritratto caro a un vedutista contemporaneo, fra pittura e cartolina, con “taxi bianchi e gialli, barchini a tutto volume / e piccoli motoscafi velocissimi. mototopi da trasporto / costruiti a Burano da generazioni. Sandoli e altre barche / della remiera adatte a ogni tecnica di voga”. Una scena in movimento, un brulichio che contrasta con l’immobilità dell’ospedale, raccontato nella medesima poesia, nelle quiete stanze del dolore dov’è ricoverato Gastone in compagnia della sua badante Frosia, che gli ha fatto vista, entrambi dei vinti, forse, ma non senza lottare.

È esattamente di questo che ci vuole parlare Fabia Ghenzovich in Totem: della vita quale flusso di energia che nessuna cornice può contenere, se non mortificandola. Ecco allora l’archetipo della lupa e delle sue sorelle regionali (“Sibilla / Diana delle fonti Luna blanca / […] loba Babajaga maga // strega”, e la leggendaria “Catanegài”, che con la sua zatterina recupera i bimbi morti annegati nelle acque del Sile), tutte ad incarnare l’incontenibile femmineo, cui spetterebbe il compito di prendersi cura dei mortali, se solo la miopia delle società non le rigettasse come pericoli dell’ordine costituito. La poesia incipitaria non lascia dubbi in tal senso: “D’istinto un lupo per esempio / ecco quel che abbiamo perso / la prima pelle – la sola che ci salva”. Per avvicinare di nuovo quella pelle, che qui diventa totem salvifico, occorrerebbe tuttavia un rito iniziatico collettivo attraverso cui prendere di nuovo dimestichezza con le forze arcane della natura, nelle quali la morte e il lutto sono elementi essenziali. La Ghenzovich mi sembra pessimista su tale eventualità ed è difficile darle torto, tanto più oggi, in cui la vicinanza del femminile con la ciclicità naturale di vita e di morte è vissuta come una minaccia e, dai maschi di qualsiasi latitudine e cultura, violentemente repressa.





Tana era a falde la roccia
punte d’ossa e muscoli in tensione
nel balzo in avanti   nel tempo 
della pietra    nel sangue  
d’istinto un lupo per esempio   
ecco quel che abbiamo perso
la prima vera pelle – la sola che ci salva.


***


Nessuno per ferocia lo eguaglia 
giocando al perverso emissario del male
l’uomo soltanto si sbizzarrisce in gusto macabro
(De Sade insegna il brevetto dell’orrore).
Del resto chi non si porta in spalla
il suo olocausto quotidiano
consumato all’ombra della storia?
Lo sterminio tra mura domestiche di ogni amore?
E Jekyll non si nasconde forse in qualche cella
frigorifera del cervello? Meglio rottamarlo
nell’astratto compiacimento per l’indifferenza
o piuttosto negare
negare sempre.


***


Un segreto patto di non belligeranza
sconfinando uomini e lupi
l’uno per fame con altre specie
l’altro per sete
di lucro e commerci.


***


Sono quello che vedi di me – che tu
vuoi vedere – la santa inquisizione di quello
che vuoi che io sia con intenzione
e costrizione per tuo solo piacimento
per tuo costrutto allo stremo del tutto
scontato e già di me detto che mai
sono stata né sono né di questa mia
da te libertà nulla potrai sapere
dell’affondo – taglio che aprendo
s’increspa in abbrivio di sorgiva
in santità di un sorriso che dal fondo
del corpo scavalca il suo confine
sotterranea  impronta di te Sibilla
Diana delle fonti Luna blanca
lupa  Loba  BabaJaga  maga 

strega!


***


Mi tira la gonna mi tenta
scuote piano i capelli
più forte il richiamo confonde
sovverte si allarga e spalanca
la gioia inattesa che sale
più densa più ardita pervade
e ritorna più viva
alla parte di me infinita 
di me pluraleindivisa.


***


Se passassi da sola questo Natale
tanto per cambiare prospettiva
togliendomi di dosso ogni orpello
pensieri  stretti e un po’ strani
piccole ripetute costrizioni
parole dette e non dette
un sorriso troppo accattivante
col rossetto e il vestito più bello
e nessuna grazia ricevuta
nessuna etichetta alla pesantezza
del mondo messa lì sotto l’albero
tra lo sfavillio di una luce commerciale
se passassi da sola questo Natale
in un silenzio vibrante di neve
allungherei la mia prima zampa
poi l’altra per l’urgenza di andare
muso in avanti a tagliare l’aria
più veloce il passo quasi senza peso
in corsa verso l’aperto della notte.


***


Una zatterina una candela accesa
per ogni morto negà
per ogni putèo desmentegà
drento el paltàn del fondo
tra le sponde del Sile la schiva
la Catanegài i la ciama
i vivi e i morti smarìi soto aqua
dove la zattera sosta
de novo catài dal scuro fin a la luse
de un nome pronunzià – la luse 
la tanta luse dei oci 
delle madri.

(Una zatterina una candela accesa/ per ogni morto annegato/ per ogni bambino dimenticato/ dentro il pantano del fondo/ tra le sponde del Sile la schiva/ La Catanegài la chiamano/ i vivi e i morti smarriti sotto acqua/ dove la zattera sosta/ di nuovo portati dallo scuro fino alla luce/ di un nome pronunciato – la luce/ la tanta luce degli occhi/ delle madri)


***


Flebo urgente antidolore per una colica alla cistifelia
che ospita un'oliva / calcolo di 2 cm e mezzo.
Terapia – dieta idrica ( un collasso per una buona forchetta come me)
e qualche lacrima.
Poco dopo al reparto di medicina scivolo
nel sonno / silenzio della notte.
Il buongiorno del mattino cade su S. Michele.
L'isola dei cipressi e dei morti.
Il sole già alto e fiducioso.
Un crescendo tra il moto delle onde e quello delle barche
sempre più frequente e rumoroso.
Mezzi di linea. taxi bianchi e gialli. barchini a tutto volume
e piccoli motoscafi velocissimi. mototopi da trasporto
costruiti a Burano da generazioni. sandoli e altre barche
della remiera adatte ad ogni tecnica di voga.
La vita è movimento come il respiro come il volo di un cormorano.
Per noi è il ritmo di una corsa.
Retrogusto la meraviglia di percepirne la luce.
In ospedale dove l'immobilità è quasi inevitabile
come in una zona neutra intuirne la possibilità.
La possibilità della bellezza.
Calpestata negata e mai colta eppure perenne.
Basta fermarsi o essere fermati.
Arriva l'inserviente – la voce gentile.
Apre una finestra quel tanto che basta per arieggiare.
L'aria fresca è una carezza sul volto sulla pelle.
Sto con l'aria  –   leggera come una lieve levitazione
un effetto collaterale alla malattia o forse un aspetto singolare della felicità.



Fabia Ghenzovich è nata a Venezia dove vive. Ha partecipato alla prima Biennale di poesia “Officina della percezione” premio Lorenzo Montano –2004 a Verona – e nel 2005/2006 al FestivalVerona poesia. E’ interessata alla poesia e alle sue possibili interazioni e contaminazioni 
tra i linguaggi dell’arte e in particolare con quello musicale, come nel caso di “Metropoli”, testi musicati in stile rap, con più rappresentazioni a Venezia, Mestre, Padova e a Milano. Ha pubblicato tre libri di poesia : “Giro di boa” (Joker edizioni 2007),” “Il cielo aperto del corpo” (Kolibris 2011), “Totem”( Puntoacapo  Editrice 2015).  Ha avuto segnalazioni e premi a concorsi di poesia: secondo premio per la silloge inedita al concorso Guido Gozzano 2009, terzo premio al concorso nazionale poesia scientifica Charles  Darwin 2014 e finalista al Premio Astrolabio per silloge inedita, con “Totem” finalista al premio internazionale sulle orme di Leopold Sèdar Senghor 2015.
 Ha partecipato a numerosi festival di poesia tra i quali: Fiume di poesia, festival di poesia performativa( Padova 2011) , Festival Internacional Palabra en el Mundo  (Venezia 2013), 100 Thousand poets for Change ( Bologna,  2013-2014), Festival delle Arti (Venezia 2014), Arts’ Connection ( Museo del vetro di Murano -Ve. 2014 e Palazzo da Mula 2015), al festival internazionale di poesia e arte “Grido di donna” (Venezia casa Goldoni 2014), Bologna in lettere  (2015), Congiunzioni, festival di poesia, scrittura, fotografia e video arte ( Biblioteca di Spinea –Venezia 2015).



8 commenti:

  1. Fabia Ghenzovich20/2/16 20:57

    Totem è per me simbolo d'una vitalità innata e diciamo pure animale, ma dietro al simbolo, c'è un percorso di tipo fenomenologico ed esperienziale, corporeo che ho portato avanti nel tempo. L'aver riconosciuto la possibilità di un nucleo vitale, di un'espansione della percezione come espansione di uno stato di coscienza nell'interazione col vivente..ardua impresa, mi ha spinto a scrivere questo mio Totem. Il femminino, inteso come forza sensibile di cura per la pace,lo definirei patrimonio dell'umanità, da riscoprire perchè troppo è stato negato, e in questo senso pur non avendo una visione disincantata sulle lacerazioni e l'imbarbarimento di un mondo il cui valore e modello spietato è quello del mercato, mi resta uno spiraglio di speranza. Un lumicino mai spento del tutto, nostro malgrado, e grazie anche alla ferinità della "lupa"(o del lupo) che forse ci salva. Grazie Stefano per avermi accolto sul tuo blog e per la vicinanza delle tue parole. So che lo stile specie nella prima parte/sezione del libro, potrebbe apparire un pò troppo scarno, ma credo di aver comunque percorso una mia strada: quantomeno la misura di un sentire in movimento. Fabia

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  2. "Il pane buono del corpo" (FB, pag.24)...questo per me è la poesia di Fabia Ghenzovich. Un pane che può saziare o diventare veleno. Come la vita. La poesia, quando vale,non è che il doppio della vita.

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  3. Grazie per il commenti, che vanno a precisare la mia lettura.

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  4. Ho già avuto modo di scrivere qualche parola su questa interessante raccolta di Fabia. Riuscitissima, a mio avviso,forte e cruda sia nel dettato poetico, essenziale, tagliente, a volte volutamente aspro, sia nell'assunto di fondo, coerente e declinato nel percorso dell'intero libro. Un'idea centrale dominante, e direi tragica, una ferinità ancestrale mai domata, ammansita (malgrado secoli o millenni di cosiddetta civiltà)che si riversa (e spiega) una ferocia (anche più occultata, più sottile) recente e presente, un "homo hominis lupus" che si perpetua. Anche, e molto, come bene dice Stefano, nella nostra Venezia, che può assurgere a simbolo di una immoralità, un'indifferenza per il bene ed il Bene comune che credo diventi ogni giorno più "normale", accettata e imitata. Una poesia dunque necessaria, oggi più che mai, una chiave di lettura del presente che se non serve a sanare una ferita putrescente, può almeno spiegarla e, più ancora, mostrarla. Nuda e cruda com'è. Bravissima Fabia!

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  5. Fabia Ghenzovich22/2/16 12:43

    Grazie Alessandra, la poesia che hai indicato mi rappresenta molto e grazie Francesco che come Guglielmin hai colto nell'essenzialita' dello stile una coerenza col contenuto dell'intera raccolta. Una tragicita'della condizione umana scaduta nell'indifferenza e assuefazione al degrado.Vero è che c'è poco da essere ottimisti e dai testi lo si evince bene, anche se una possibilta' di resistenza è sempre presente se si sa coglierne la bellezza.La poesia e l'arte tutta ne sono una testimonianza . .

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  6. Grazie Fabia, di aver condiviso queste letture del tuo Totem, che convergono nell' analisi e nella sensazione che esso lascia al lettore: segno della traccia 'chirurgica', della forte identità di questo libro. L'ho recensito anch'io, dimenticando forse di citare La Lupa di Verga fra i possibili referenti letterari dell'opera.

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  7. Fabia Ghenzovich25/2/16 23:43

    grazie per il commento Nicola e per l'attenta recensione recensione che mi hai inviato

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  8. Testi poetici interessanti e aggregati attorno a un concept originale. Una lupa fuori dal branco, sia per l'approfondimento tematico ricerca che per le scelte stilistiche non convenzionali

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