mercoledì 20 marzo 2013

La "Chanson turca" di Cristina Annino



Curata per LietoColle da Maurizio Cucchi, Chanson turca di Cristina Annino mette in opera quello che altrove Donato Di Stasi definisce "ragionamento emotivo" ossia quel cortocircuito prodotto "fra le pulsioni profonde e gli strambi sillogismi di superficie". In effetti, la poesia anniniana, così come la sua pittura, ricava il proprio oggetto da un magma imperscrutabile che, lungi dallo scomparire nella forma, chiede udienza per sporcarla, contaminandola con i suoi detriti. Il ragionamento, infatti, non perdendo il contatto con l'ipocentro tellurico, viene a galla con sintagmi luminosi quanto enigmatici, deliranti eppure perfetti nella loro persuasività: "Ognuno / conduce in terra le sue passioni, / è chiaro. Per questo l'hanno / aspettato sempre seduti / sulle panchine". Per converso l'emozione, carica di pulsione, si cristallizza in immagini debordanti, talvolta di matrice dadaista, come "Koko accende polmoni a spiovere con / le orecchie" talaltra nella decisione imponderabile degli a-capo, mai come ora asintattici, nervosamente slogati da preposizioni semplici e articoli.

Se la prima sezione della Chanson ci fa entrare nel laboratorio più affascinante della Annino, poetessa amata da differenti generazioni proprio per la sua capacità di comunicare lo scarto fra evidenza del reale e sua interrogazione, la seconda ci porta nel conflitto sociale, tra cronaca e storia, ma anche nel grande tema leopardiano del rapporto uomo-natura. Lo fa costruendo un'operetta morale in versi, in cui ironia e tenerezza verso i deboli, preoccupazione per il destino collettivo e affetti familiari –primo fra questi Koko, il gatto siamese – si combinano in un dettato più comunicativo, ma sempre alla maniera anniniana, con inserti vocativi, modi di dire, procedure analogiche e metafore sorprendenti. La novità stilistica più evidente, nel libro, è l'uso insistito del corsivo, che amplifica quel "senso tribale / dell'idea ritmica" che guida la voce inconfondibile dell'autrice, qui e altrove.

(uscita in "Caffè Michelangiolo. Rivista di Pensiero e Arte, Anno XVI - n.2 Maggio-Agosto 2011) 


Oltre Mosè

Koko accende polmoni a spiovere con
le orecchie. Quel suo fischio – non lo
nego –, le vibrazioni
smilze, le acca, l’esclamativo, spartiranno
onde nel corridoio. Eppure vorrei un
pensiero più grande, atomico, da Madonna
di strada, madonnaro; lo
dipingerei sull’impiantito coi piedi. E’
questa lentezza di cottura che
ci incatena, ci formalizza, ecco, la
valanga l’avvertiamo ma ancora non
ci tocca. Siamo pura
virtualità, anzi scolo di maniera direi, stipati
in bomboletta cadiamo tutti
insieme senz’ossigeno più, uccelli senza
gola né nubi, fusi già in volo. Neppure
la bellezza molecolare dei gay!



La griglia del dispiacere

Ha girato sui cardini: la mamma nel
ciclone dà i numeri e il
tempo ha le bende. Niente più
sudditi, doni, domani, son finite le gemme
sul serio. Eccoci! Ha sognato come
nessuno, la cenere. Che
tutto fosse lì, ormai da spazzarlo via col
pensiero oppure le mani.
Con gli animali, lei lotta anche in
sogno, tossisce fino al palco
dell’alba di quel granaio.
Ché, se togli libertà a una
persona, questa altrove se la
rifà e diventa più dolce
la marmellata! Ma uno schiavo
di meno conta, nel bilancio dello
spirito. (Lui fu
lasciato solo: non volle quel
dolore, quell’altro, né le sagome
del discorso che chiudono porte,
allacciano scarpe magistralmente.
Neppure
le carte scoperte, non volle l’odore
medico delle bocche; né il facchino di
quelle nuvole o il carico dei materassi. Lo
spazio e l’ozio non ebbero
limiti, e ogni eccesso.) Il resto finiscilo tu.



Destino del giovane Enrico

Sa che deve affrancarsi ed essere
svelto.  Disonorare i
capolavori che l’ hanno fatto. Sarà
anche fioco, perdiana, sarà
opaco in qualche prato senza
estasi. Proteggendo le mani com’un
pianista, suonerà a dovere con le
spalle magari, senza  niente in
vena, posate
le ali sul pezzo di sé rimasto
intero. Lento, se lo fissano, piano, poi
fingendo, poi ruberà giornalmente
se necessario, un  gradino intero; ché
salire appena di meno è tremendo.



.Ricordo, terribile maglio

Non sa pensare a quel ricordo, né
starci dentro; una gran fatica! Cielo
fatto in due di cotone umido. Sarebbe
posarsi sul sacrificio d’un santo, con
gli spini come si dice. Troppo alcol,
miseria e la tossina pesante
dell’aria quando
arrivi davanti alla fine. Ma
non può uscire da lì. Dice
mezzano è il pensiero, però non
c’entra e lo sa, dovrebbe passare il
fumo che la getta indietro! Non ha
niente perché lui l’ha
resa innocua: né amici, speranze, via
segreta. E’ cosciente al
massimo dell’allerta, ma ormai fatta per
il consumo.



Plagio, invasione, imitazione piccina

Ora l’ossessiona  la Cina, che si
mangia paese su paese come
fragole per merenda. Diventeremo 
lei! dice in
stile da scuole medie, piagnistei.
Chiacchiera, poi gira
pagina, e non
vede quel che dovrebbe: che
biada d’ogni Storia è il
plagio. Anche la
terra agli indiani ma anche
prima, pare strano è
così (pensaci, California!).
Anche l’invasione
tranviaria - dietro le spalle uno
ti becca quel che può. Lei
copia la scrittura di lui
staccandola dai rami, col
salto dello stesso
tramvai. Roba da Cina, mica
ruba le mele! La mente, le 
parole, l’ abc, se li mette nel
piatto titillando quei bottoni
del pigiama com’un malato
le flebo.

Qui e qui due interviste interessanti.
sul sito di Lietocolle la biobibliografia.

24 commenti:

  1. per me leggere Cristina è sempre un viaggio.. le parole e il loro ritmo, le immagini, le sensazioni che ne arrivano e che rilanciano..
    una volta hai parlato dell'invidia verso i poeti noti che spesso non hanno commenti qui, certo, la ho ach'io, ma è un'invidia sorridente verso chi scrive come vuole farlo e verso la magia del pensiero..
    vorrei saper dire di più e meglio, ma è tutto qui quello che so..
    le lascio un sorriso affettuoso e sincero..

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  2. La scrittura di Cristina è un tiro a segno con proiettili traccianti - Conviene assistervi con la moviola di un intelletto disinibito e avido , con vocazione antiletteraria solidale alle traiettorie luminose dell'acribia che centra sempre il suo bersaglio . Un tiro a segno che si autoalimenta , che non finisce mai .

    leopoldo attolico -

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  3. Grazie dell'ospitalità, Stefano;dal tuo blog precedente ebbe inizio la mia comparsa nel webb!
    Un caro saluto agli intervenuti.
    Cristina Annino.

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  4. Possiedo questo libro di Cristina, come altri, come l'antologia edita da Puntoacapo, dove Stefano offre un'ampia nota critica molto esauriente sulla poesia di Cristina, oppure Casa d'aquila. E trovo che Cristina sia rimasta fedele in tutti questi anni alla sua idea di una poesia liquida, resa permeabile nel suo centro linguistico dalla vita, dal fermento emotivo, e protesa verso l'ineffabile delle cose, verso il plasma universale che qui feconda nella ritrosia dinamica del pensiero. Per me Cristina resta una delle voci più alte della poesia contemporanea, dotata di una freschezza immaginifica, oltre che di una forza intellettiva che punta sempre al rialzo, frantumando ogni singolo spazio, per poi assemblarlo nuovamente al cordone ombelicale della sua potenza creatrice.

    Questi testi, svelano un viaggio sonoro e intelligente, mai banale, una poesia geografica e quindi terrena, che si fa anche storia della radice, metrica del vissuto.

    Un caro saluto

    Bux

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  5. Com'e' giusto in un poeta nato tale, questi testi paiono appartenere via via a libri precedenti ("La griglia del dispiacere" per esempio non sfigurerebbe in Casa d'aquila (2008), coi suoi lutti, i suoi moribondi; o "Ricordo, terribile maglio" in Gemello Carnivoro (2001), con il poeta in ostaggio; o alcuni passaggi nella seconda parte, per i quali uno pensa addirittura alla cronaca demistificata del libro d'esordio, Non me lo dire non posso crederci (1969)). L'evoluzione, se di evoluzione si puo' parlare, riguarda i registri, i modi dello scrivere. I contenuti rimangono veri come veri sono sempre stati, come le verita' che non cambiano, ahinoi. L'immanenza di questo scrivere e' quella della condizone umana, che e' quel che e', e come e' viene rappresentata, questa e' la tragedia di cui si tratta sotto sotto.

    Se i testi siano o non siano nati da nuclei antecedenti allora in qualche maniera non importa: quel che importa e' che la continuita' della scrittura crea un'Opera unica con quelle precedenti. In un certo modo questo poeta dovrebbe essere l'incubo di ogni editore, perche' ogni nuovo libro andrebbe pubblicato assieme a tutti quelli precedenti, ma come si farebbe ad ottenere tutti quei diritti di riproduzione, come si farebbe a stampare ogni volta un libro un centinaio di pagine piu' lungo? Eppure solo cosi' si farebbe giustizia a ogni testo e a ogni nuova aggiunta al libro. Questa unita' macroscopica e di contenuti e' coerente colla fisicita' del lessico (ogni testo un ganglio in una rete di vasi di un organismo, ogni libro un arto di un corpo) e con la circolarita' dei testi, quasi sempre percorsi da uno scheletro semantico che li attraversa. Vedi per esempio la Cina e l'America in "Plagio, invasione, imitazione piccina"; o capolavori/pianisti/pezzo nel "Giovane Enrico"; o ancora atomico/molecolare e madonnaro/bomboletta in "Oltre Mose'" . Il lettore, sia pure affranto dall'oscurita' del testo, non puo' che sentirsi forzato a rileggerlo, visto che il subconscio registra coerenza, e anche attraverso i testi c'e' questa narrazione compatta, sicche' si torna indietro a rileggere, si avanza a leggere, e poi di nuovo, e ci si ritrova sempre nello stesso posto.

    Sindrome da labirinto quindi per il lettore? Si', a prova del fatto che questi sono testi potentissimi, ansiogeni! E per giunta, provano di conoscere la differenza tra il reale (senza senso) e la realta' (umana, alla ricerca del senso). Quindi questo poeta tuttora resta, come diceva Dan Peterson nella pubblicita' del Te' Lipton "Per me il numero 1!"

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  6. Difficile trovare commenti di questo calibro così ravvicinati: cara Cristina, la tua poesia è una bomba e lo sappiamo in tanti!

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  7. Che dire, Stefano? Oltre ad essere grata delle parole gratificanti e allo "studio" quasi sulla genesi di alcune poesie, comncordo con Roversi, ma posso assicurare che ogni testo nasce nuovo per ogni libro nubo. Il fatto è che , parlando lo stesso organismo, questi non può dimenticare le scariche che gli sono state sparate addosso anni prima, ma le stratifica in modo apparentemente contemporaneo.
    Grazie delle due analisi profonde.
    Cristina Annino.

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  8. Il libro della Annino è una puntata sull'improvviso poetico. Questa chanson turca è un libretto musicale che suona stridendo nella sua forza motrice di rispettosa e dispettosa parola. Aggiunge e tasta, testa e non dice, infine - è vero, nel suo labirinto c'è chiaro l'orientamento che fa. Io lo chiamo percorso poetico che m'interessa, perché non definisce, ma traccia. Poi scombina, sconfina - può riuscire a stonare e ritornare semplicemente a tremare con il suo incanto, mica dichiarato. Per tutto il disincanto che tratta, non materiale - proprio palpabile. Scusate se anche chi scrive, adesso, non traccia un percorso di inizio e fine discorso.
    L'altro giorno ho trovato per caso in una biblioteca fortunata (lei, e io) di un paesino etneo - Zafferana - il libretto Gemello carnivoro della Annino, credo che tra quei testi e questi - come dice Roversi - ci sia un continuo, un continuo cercare, sintonizzarsi, toccare, a tratti semplificare e scegliere, poi re-immergendosi nel tempo, che fa e dà scherzi continui (musicati e musicali, discontinui), e credo che in questo labirintico scrivere possa trovarsi una quasi scientifica cristallinità poetica, sempre - un tratto a penna e colore che aprono anche a cosa ancora potremo leggere, e scoprire.

    saluti, Giampaolo Dp

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  9. E poi in giro si dice che la poesia (e la critica) in rete è robaccia!

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  10. Parlare di Cristina Annino e delle sue opere è dire poesia. Madrid su tutte. Stiamo parlando di un'autrice che continua a innovarsi e innovare, a dare un contributo prezioso alla poesia italiana sepre un poco anemica. Chanson Turca è un gran libro.

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  11. dimenticavo di firmarmi, Flavio Almerighi

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  12. il tempo ha le bende, scrive la annino, anche; e la sua poesia è come il tempo, galantuomo ma allo stesso tempo sanguinaria, senza vero perdono. ancora una volta la annino sforna un capolavoro con l'aria di voler tirare un colpo d'ascia sulla poesia che non è la sua. non lo fa apposta, per meglio dire, le viene così, dal sangue di un sentire ramificato come nella stanza dei bottoni di un mabuse che si è incrociato con frankestein. cristina a mio personale avviso va persino oltre la poesia, è espressione letteraria pura, e come la vera purezza essa a volte è inconoscibile, enigmatica. in certi passaggi la sua poesia è come se si fosse scritta addirittura da sola, quasi che i personaggi di un film surrealista di man ray si mettessero a correre tutti insieme con una penna in mano e volessero scriverle addosso, e ci riuscissero. grande cristina annino, ancora una volta!

    franz krauspenhaar

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  13. Commenti veramente sorprendenti, per la loro originalità e acutezza di immagini; altre immagini autonome che si sovrappongono ai testi e li allungano, li accrescono...E' un piacere leggere altra poesia su poesia altrui, come un filo corrente! Ringrazio e partecipo di questa coralità di forze.

    Cristina Annino.

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  14. "Un conto aperto? di parole?" "Spero non di sole parole": con questo verso sereniano vorrei calare due debiti, uno soggettivo l'altro oggettivo. Quello soggettivo riguarda la personale e piccola frequentazione di Cristina, a casa sua, in un ristorante sui viali assolati di Roma, durante pubblicissime letture, a Foiano; quello oggettivo, invece, esprime l'idea di debito che la sua poesia esaurisce e qualifica. Un debito che deve molto alla vita e non certo all'ispirazione; un debito che arriva direttamente dall'esperienza del linguaggio e delle parole, appunto. Un debito che diventa credito? Possibile che la scrittura resista più della pagina di realtà da cui esce? Forse sì, nelle intenzioni di Cristina è come bloccata, con se le sue sciabolate di bellezza (tutta concreta), tra il valore estetico del gesto e il peso della parola detta, auspicata, imprecata, stolta e coltissima, come un coltello che penetri, si rivolti, e poi venga estratto, per guardare cosa fuoriesce e cola. Non sono certo grumi di emotività, piuttosto un gettito ininterrotto di modi e posizioni, che si rimandano dalle prime esperienze "tecnologiche" del suo esordio (in quella Firenze dove operava Pignotti), fino alla costituzione di un'alterità interrotta, quella del soggetto maschile, che da "L'udito cronico" afferra e scalza le sue ragioni. Cosa trovo oggi in questi versi, oltre ad una forte esigenza di ascolto? Trovo la conferma che la poesia per Cristina è uno "stato della mente", laddove la mente - comunque - non segna i propri confini, ma sempre avanza e arretra, a seconda che tocchi o rifugga il sempre-pieno della realtà. Per chiudere il giro del contrappunto, tiro fuori dalla tasca altri versi, emblematici e comprensivi, da "Il falso merlo della poesia" in cui - con tutta la sua ironia che è toscana, dura, testarda, ma profondamente "amabile", il poeta ci ricorda:

    Ci vuole molta
    pazienza e un’io esteso
    di qua di là dalla grammatica per fare
    d’una sequoia un merlo solo
    capace di sollevarne poi
    il volo

    Da questi "gesti d'espressione" (li chiamerò così) comincia e non finisce, la mia sincera ammirazione per Cristina, e per la sua poesia.

    Marco Corsi

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  15. Splendida analisi quella di Stefano Guglielmin, che ha colto nodi cruciali della poetica di Cristina Annino, sicuramente una delle voci più forti e originali della poesia contemporanea... credo che la seconda parte di Chanson turca,quella dove ha appunto inserito i due poemetti, mostri anche la grande vocazione corale e teatrale di Cristina, che sempre nelle sue poesie riesce a dar voce a una pluralità sociale e domestica in una combinazione tutta personale del lessico,la sua poesia è un grande mare dove confluiscono tic, idiosincrasie, stratificazioni psichiche di un'umanità da romanzo, che sotto i suoi ferri diviene emblematica, anche quando conduce un'esistenza dimessa, anonima.

    Luigi Carotenuto

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  16. grazie per questi autorevoli commenti! le mille sfaccettature che emergono in ciascuna lettura attestano la ricchezza di questa poesia.

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  17. Commenti veramente preziosi; e veramente grazie per una tale attenzione!
    Cristina.

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  18. Alfredo de Palchi18/4/13 07:21

    Alla poesia di Cristina Annino non occorre la mia critica positiva per darle credito, e per il semplice motivo che non ho il vocabolario del critico. Si sa se l’apprezzo dal modo in cui parlo di Cristina..

    Anche se la data non mi sostiene, conosco Cristina a Firenze nel 1965. Sembra una data lontanissima, che non lo è in quanto la poesia quando è tale non ha data. Firenze mi riceve innamorato, non conosco nessuna persona, ma siccome la mia compagna si presenta stupenda filadelfiana, gli uomini scodinzolano intorno come cani a digiuno. Attaccano bottone con me in un inglese sballato per avvicinare LEI. Io mi fingo ebete, lei ride divertita, per vedere come si comportano per arrivare a lei. Fregnoni, non si rendono conto che per nascita so a memoria tutto anche quello che loro non sanno e che le situazioni boccaccesche sono di mia creazione. Sicuro, ciascuno pensa di rubarmi la ragazza. Uno, lo giuro, grida in piazza presso una loggia quanta voglia abbia di avere un figlio, i loro calcoli cafoneschi non fanno breccia, la compagna non intende il linguaggio ma capisce dal mio stupore. E quelli che insistono ad accompagnarci all’albergo con voglie abbastanza canicolari , ricevono una lezione in italiano sul marciapiede. Buonanotte.

    Ma non è questa la storia, è un succinto introito nelle piazze e nei caffé all’aperto dove sempre per caso, anche se solo, mi lascio avvicinare. Chi incontro? Gente diversa, nomi nuovi: Lucia Marcucci, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, il pittore Bueno, il critica di musica Mario Bortolotto e altri di quel periodo dedicati alla poesia visiva. Un imcontro casuale importante di un miscuglio di artisti collegato all’amicizia se non alle idee, tanto d’essere convinto oggi della prersenza della giovanissima Cristina. E un ricordo vago ma bellissimo durato un mese di amicizia perduta nella storia non scritta, Eppure la racconto perché la mia rivista “Chelsea”, rivista americana, nel 1966 pubblica un gruppo di immagini di poesia visiva degli autori menzionati e di altri d’altrove, e un saggio sulla musica contemporanea di Bortolotto . Cristina non c’è ancora, il suo nome stampato arriva nel 1969 quando i miei contatti con Firenze, ancora per caso, vanno fuori strada, per cambiamenti di vita.

    Eppure ricordo Cristina, mai vista, ragazza tipo vamp nella mia visualità mentale, che si avvicina attentamente ai vari ismi del periodo fiorentino, e fortunate la sue primizie poetiche sono apprezzate da Miccini, artista e teorico. Tra quei vicoli di ismi scopre la propria voce originale; per chi ha la mia età il titolo della silloge poetica “Non me lo dire, non posso crederci” è audace e comico alla Macario. Però si faccia attenzione, titolo e contenuto creano una audace unità senza comicità. Spiritosa, sì, quanto lo è amorevolmente con i suoi gatti, prìncipi e simboli della natura per bene, alla quale anch’io mi adeguo con spirito e amore per i miei gatti. Non si deduca nessuna anormalità in questa positiva unione dell’uomo-animale e del gatto-animale, ambedue simboli della grande madre. Cristina, poeta spiritosa audace e mordace ha i tempi climatici e umani nell’intreccio del continuo scombussolio,

    Con la gioia di conoscerla ragazza, in fotografia mentale, e tramite corrispondenza, annuncio qui che dalla sua opera completa sta crescendo la selezione in un volume bilingue negli Stati Uniti d’America. Alle storielle faccio seguire i fatti.


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  19. Grazie, Alfredo, della tua presenza qui e dei bei ricordi che abbiamo in comune, anche se all'epoca non ci siamo conosciuti. Mi dispiace,sarebbe stato bello, ma in seguito, per fortuna, mi hai rintacciata, col "fiuto" straordinario che hai e con la tua attenzione alla poesia prodotta in Italia.Ed eccoti. Sono veramente orgogliosa della tua stima, della nostra amicizia e di far parte della tua casa editrice. Un grande abbraccio.
    Cristina.

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  20. dice "ché
    salire appena di meno è tremendo"
    ed è esattamente così. Esattamente. Straordinaria Lei

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