martedì 3 settembre 2013

Matteo Bonsante


Scritto nell'alveo ispirato di Dismisure, anche Simmetrie (CFR 2013) di Matteo Bonsante sperimenta la parola individuale immersa nella luce dell'universale, confermando che la grammatica della lingua può avvicinarsi, per via "aurorale", alla grammatica dell'essere, alla sua fenomenologia. La poesia metafisica dell'autore pugliese vuole insegnare la postura corretta dell'essere umano prima che questa diventi dover-essere. Come, nel Tao, la virtù soccorre soltanto se la Via è perduta, così egli non ci dice che cosa dovremmo fare per ritrovare pace e armonia, bensì quanto è scritto nel corpo del Cosmo, la "cosa in sé", e che noi dobbiamo conoscere affinché la nostra natura –  celeste e terrestre insieme – realizzi le proprie potenzialità. La poesia serve appunto, ci dice, "a riverberare / l'afflato e l'empito / dell'essere". Come scrivevo a proposito di Dismisure, egli abbraccia alcuni dei più importanti pensatori occidentali e non solo, proponendoci una poesia poco praticata in Italia, proprio nella misura in cui non vuole essere di matrice cattolica e/o mistico-mortificatoria, ma semmai sapienzale, come per esempio lo è quella di Tiziano Salari e dell'ultimo Viviani. A fianco di questa visione pacificata sul reale, convive tuttavia la consapevolezza che tra sapere e saper fare esiste una ferita incolmabile ("Ma perché la ferita / ancora dissipa ancora separa?"), così come tra essere e essenti: la vita di ciascuno, in altre parole, è in quanto alterità che si è rifondata storicamente, cosi lacerando il legame ombelicale con la madre-tutto. Come accennato all'inizio, Bonsante non ci dice come sanare questo strappo (e come potremmo se non rifondando una teofania o una teocrazia), soltanto ci ammonisce affinché, con l'esercizio spirituale, ci liberiamo dall'io egoista che organizza i nostri rapporti di proprietà per riconquistare l'io profondo, un "infinito e / pur finito io" che si fa accogliere dal tutto, ma senza espropriarsi totalmente, senza appunto raggiungere le vette mortificanti del misticismo medioevale: un conosci te stesso forse di radice francescana come lasciano intendere questi versi: "Ed ecco il cammino, dolce e dolente, dell'uomo: / diventare infinito per condividere / le realtà altre che sono al di là del tempo / e oltre la mente. E, / in simmetria, / ecco l'essere che si distacca da se stesso / e diventa finito — in noi umani — per osservare / con occhi azzurri / il suo stesso esistere nel mondo".


 da Simmetrie (CFR Edizioni, 2013, pref. di Raffaele Urraro)


Sono le cinque e due minuti (ora legale)
di una giornate d’estate.
Fra poco il sole sorgerà e colmerà
la terra
             del suo splendente dono.

– Che sapremo fare oggi, noi umani,
di tanta luce
                            di tanta Gloria?



**



Lo spazio è specchio
in cui risplende il logos.
E si dispiega il mondo.

Nel mondo si rispecchia
l’io
       e traspare  Dio.

L’io sguardo simmetrico e 
viandante
                 della divinità.

E sua sezione aurea.


**


Eppure se la mia radice è eterna
e se posso scrostarla dai detriti
e dalle scorie che vi si sono
tenacemente depositate,
allora la mia vera essenza
           la cosa in sé
non è tra ciò che assiepa questo
nostro mondo
(il più delle volte agitato e stinto),
ma nell’essere, fuori dello spazio
e della mente.

In invisibile beatitudine, e amore.



**



Oh energia-logos che mi hai fatto
uomo e a te mi tieni e a me, legato.
Domani sorgeranno nuovi cieli,
nuovi appagamenti, e nuove seduzioni.
E il mio agio, la mia libertà,
sarà di slegarmi e di compararmi
alle tue leggi e risonanze.
E sarò roccia e sarò canto,
sarò l’umile stella che predicando
sorge all’alba per accompagnare il sole
e scomparire in un buio fulgore, 
mentre
un’ossuta favola si affaccerà 
e forgerà vite novelle.

Tra qui e un batter d’ali,
esserci… e in uno schioccar di dita,
svanire.

Affannata e vigile è la forma dell’io.
                 Il suo incompiuto, spesso
 tragico, simulacro.



**



Il più grande dono è essere nato
                          libero.
Libero di slegarmi da me stesso
e di dissolvermi nella tua impervia
infinità,  
            essenza e scopo del tuo/mio
esistere.

Conoscermi e
                         negarmi
all’inquietudine dei venti e della Storia
che non sanno da dove vengono,
né dove vanno.



**



Senza l'ardire dell'io,
senza il suo fermento, tragico e dolente                    
sulla terra,
senza il suo fluire in simmetria
del logos,
non avremmo mai conosciuto
la vastità del cielo,
né la tenuità delle lontane rive        
dove l’essere e il divenire sono
una stessa forma.
                     Una stessa fonte.  




**



Potranno mai le parole essere tanto
audaci e penetranti
da cogliere il più piccolo soffio
della cosa in sé?

Le parole son fervide di vita e di terra.

Possono descrivere e percorrere
l’intero universo
ma non sporgersi sull’altro volto
delle ore
se non per momenti
                                   scossi, aurorali.
                      
       *

Che si onori e si festeggi l’essere 
in simmetria di canti e di lodi.

Al modo degli uccelli.



**


Se l'essere è infinito e senza forma
anche la verità è infinita e senza volto.
Ed ecco il cammino, dolce e dolente,
dell'uomo:
                   diventare infinito per condividere
le realtà altre che sono al di là del tempo
e oltre la mente. E,
                                in simmetria,
ecco l'essere che si distacca da se stesso
e diventa finito — in noi umani — per osservare
con occhi azzurri
         il suo stesso esistere nel mondo:
un bel tramonto, il ciclo stellato,
una bianca e leggera nevicata
e le tante dissimmetrie che caratterizzano
la terrestrità:
i derelitti, i senzatetto, i sanspapiers,
i messincroce, i senzasperanza, gli
emarginati, gli errabondi, gli alienati,
 i disperati, coloro che non credono,
coloro che non vedono....

Volgiamoci ridentemente all'aura
che ci sostenta e ci sospinge verso
un gran domani.



**


Un lampo nell’ardente vela. Si
intravedono lucori in lontananza.
Esplode il cielo, la misura è alta.
Ciò che mi chiama è luce
                                            e solo luce.

Devo varcare me stesso e sigillare l’ora?
O girarmi indietro e rivedere il mondo?

Non c’è nulla da compiere o completare.
Il ricordo e il pegno cercano nuove labbra. 

Il mio scorrere è certo, acqua di fidata polla.
Estremo arcano annidato nella febbre delle ore,
nel fico d’India, sotto casa. E in me,
                                             nella mia voce.



Matteo Bonsante è nato a Polignano a Mare nel 1935. Vive dal 1976 a Bari, dove ha insegnato nella scuola secondaria superiore. Per la poesia ha pubblicato:

Bilico, poesie, Forum/Quinta Generazione, Forlì 1986
Ziqqurat, poesie, Centro Stampa 2P, Firenze 1996
Sigizie, poesie, Adriatica Editrice, Bari 1998
Poesie 1954 - 2004 (Bilico, Ziqqurat, Sigizie e le raccolte inedite: Esperidi, Nugelle, Prime poesie), Aliante Edizioni, Polignano a Mare (Bari) 2004 
Iridescenze, un diverso possibile sguardo, poesie, Aliante Edizioni 2007
Dismisure, poesie, Manni, 2010
Simmetrie, CFR, 2013


13 commenti:

  1. Per quel che vale, non è il mio genere..
    anche se nell'ultima ci sono alcuni versi che mi hanno colpito..

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    1. forse è anche una questione generazionale.
      Però per un poeta - tu - è importante confrontarsi con altre poetiche: ti arricchisce e ti fa capire che la strada non è mai già aperta: occorre sempre ripensarla, rifondarla.

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    2. ti ringrazio per l'appellativo che mi fa 'arrossire'.. non rifiuto alcun confronto e leggo tutto con attenzione, ogni poetica ha qualcosa in cui apprendere e comprendere..
      non credo sia una questione generazionale (son carampana :) e il tema (unico) è di quelli che non puoi non sentire.. ma il modo, un po' dichiarativo, non mi coinvolge.. per il resto, eh, bisogna esserne all'altezza :)

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    3. se lo stile è la vita...

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  2. Molto acuta incisiva la nota critica di Stefano che, a mio avviso, apre un paio di prospettive non ancora aperte, per la lettura della poesia di Bonsante. Per il resto (per riprendere l'osservazione di Amara e la risposta di Stefano), osservo che un a poesia deve essere prima di tutto "vera" e questo accade quando il poeta tematizza quello che sente, non quello che "deve" o, peggio, quella che egli crede sia l'aspettativa del lettore. Purtroppo la poesia odierna è satura di queste false (uso un termine un po' forte ma verosimile)poetiche. Matteo Bonsante, del quale ho letto più o meno tutta la poesia edita, è un rarissimo esempio di poesia monotenatica, che non si scosta, in oltre 50 anni, dal suo tema ti ricerca che pure, come osserva Stefano, in Italia non è quasi seguito e comunque spesso confuso con la poesia religiosa. Questo lo trovo un insegnamento attualissimo - non tanto la monotematicità, che in sé non è un un valore, quanto la fedeltà alla propria ispirazione senza tentare le vie della collusione col lettore e con la critica. A mio avviso la poesia di questo autore è comunque un riferimento, anche se oggi non è sentito, per il suo portato di slancio e di entusiasmo, di ricerca della verità (poetica).
    Gianmario (Edizioni CFR)

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    1. Caro Gianmario, hai fatto bene a fare queste precisazioni. Credo tuttavia che Amara parlasse più d'istinto.

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    2. infatti, sì.. e concordo sulla fedeltà all'ispirazione..

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  3. Caro Poeta,

    ho stilato per IRIDESCENZE , nel 2010, una nota che ho provveduto a fargliela recapitare. Su Simmetrie l'approccio filosofico si intensifica con l'Io poetico ma anche con "la cosa in sè" o"volontà" e al "noumeno" kantiano, ossia a ciò che non è possibile conoscere attraverso l'esperienza, ma solo con l'uso della ragione. Ecco, che in questi viottoli del pensiero si inserisce la sua poesia. E il discorso finisce con l'essere biopsichico, oserei dire junghiano.A Lei l'appropriazione o meno di questo mio lampo critico (si fa per dire!). La poesia, quando ha questi "momenti" finisce con l'essere più umana e collettiva.

    Con i più vivi auguri. Mario M. Gabriele.


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    1. grazie per questo commento. Sarebbe interessante capire come convivino in questa poesia il noumeno kantiano e l'archetipo junghiano.

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  4. Dell'assoluto (che mi pare sia poi il tema di Matteo Bonsante) credo si possa dire solo quel che non è, non quel che è. Abbiamo piena coscienza solo del relativo nel tempo e nello spazio, che è costituito da noi stessi e da tutto tutto quel che vediamo, sentiamo, tocchiamo con mano e riusciamo chiaramente a concepire. L'assoluto, eterno e infinito non è dunque ciò di cui abbiamo piena coscienza. Eppure di sicuro lo comprende: «L'eternità è nelle cose che passano leggere», dice appunto Matteo Bonsante.
    L'originalità di questo poeta non è di sentire questa sorta di mistica negativa, che (forse a torto, ma forse no) mi ricorda religioni orientali e comunque è presente nella storia della filosofia occidentale, ma semmai di averne fatto poesia e di farla sentire come tale al suo lettore.

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    1. Infatti, come scrivevo nella prefazione a "Dismisure" "egli, sin dall’inizio del suo operare, dà voce alla domanda 'perché esiste l’essere piuttosto che il nulla', urgenza in lui anzitutto esistenziale, di uomo la cui meraviglia per il creato diventa immediato riconoscimento dell’impossibilità di composizione unitaria della totalità, consapevolezza di una dismisura che pervade l’intero, che lo costituisce essenzialmente."

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  5. Un grazie sentito a tutti gli intervenuti. Un particolare grazie a Stefano Guglielmin che cura con intelligenza e amore questo blog di poesia.
    Matteo Bonsante

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