domenica 3 gennaio 2016

Margherita Rimi


L’interessante della creazione poetica di Margherita Rimi sta nella sua capacità di fondere la sua professione, neuropsichiatra infantile, con l’oggetto del suo discorso estetico: ella infatti racconta, dal di dentro, l’esperienza di essere bambini difficili, calando lo stile ai loro tic linguistico-emozionali, ai loro sguardi singolari. Sulla scorta della parola analogica, talvolta settoriale, e facendo leva sulla figura della ripetizione, giocata in versi brevi, costruisce dei monumenti essenziali all’identità ferita, dove gli spazi bianchi danno massima espressività al suono, al ritmo e al senso.

Questa idea del poetico, che rinuncia alla metaforicità preziosa e difficile degli ermetici, per una più efficace resa comunicativa, attraversa tutta l’opera della Rimi, lambendo anche territori altri, come quando canta Palermo, “Vento di terra // Cielo / tronco / sul mare” o usa il dialetto, per nominare luoghi e persone, favorita dal fatto che, come scrive nella lunga intervista che accompagna La civiltà dei bambini ((Libreria Ticinum Editore, 2015), “il siciliano è una lingua concisa” e con frequenti ripetizioni.

Nella medesima intervista, ben articolata da Alessandro Viti, la Rimi ci tiene a distinguere la propria poetica da quella pascoliana. L’assunto mi sembra convincente: “Quando un trauma viene subito nell’infanzia […] il bambino ferito sarà sempre presente, farà sentire la sua voce, […] chiederà giustizia”. Se in Pascoli il fanciullo è innocente, qui è nevroticamente tiranno, ma per rivendicare un’ingiustizia (subita o immaginata) che appunto deve essere risolta. La parola poetica rimiana ne mostra il sintomo, lasciando nel non-detto la distanza che, talvolta incistandosi come un’ombra in ciascun parlante, lo tiene lontano dalla felicità. Spetta al lettore interrogare quel silenzio inquietante, farlo vivere nella pagina. Altre volte, c’è il sole nei versi e l’ombra scompare: “E spaccano la parola in quattro / i bambini che non hanno lingua // La cin-cin-tura il cerchio che si inventa / un suono / la sillaba che curva le parole”. Quando capita, bellezza e innocenza si incontrano, come nella migliore poesia per bambini o sui bambini. E, come in Lamarque e Scialoja, vuole insegnare agli adulti, ma senza diventare assertiva, modulandosi in un dettato che, come riferito, in lei si fa scarno per metodo, e vuole toccare il lettore non per concetti o usando il pedale descrittivo, bensì attraverso il sistema sensoriale: la nitidezza delle immagini, elementari per scelta, hanno un profumo, una consistenza, un suono tangibili. Ed è appunto il corpo che trae giovamento dalla lettura, prima ancora dello spirito.

Il libro in cui meglio si segue questo percorso s’intitola Era farsi. Autoantologia 1974-2011 (Marsilio, 2012) dove il prendersi-cura (della parola, delle persone, della memoria, della Sicilia, della cultura dialogica) diventa il gesto di cui dovremmo tutti riappropriarci, per rifondare un centro aperto alle differenze e capace di costruire futuro.



[Da La civiltà dei bambini, 2015]


Nel villaggio dell’Uttar Pradesh
erano due le bambine
le scarpe di sughero

E l’albero era di mango

In fila due nuvole
in fila ci sono due corde
due gambe
due sorelle gemelle

Da una parte il bambino
dall’altra il fucile
in braccio alla madre 

Nel villaggio dell’Uttar Pradesh
erano due i nomi
per tutti
due le bambine

E l’albero era di mango


Dedicato alle due bambine violentate e impiccate in un villaggio India. Il fatto è avvenuto 2014.



Pour que tu ne te perdes pas


Il corpo
non segue più il corpo

Si è messo delle strane idee
per la testa delle
Apoteosi

Gli fanno terrore i passi
le due mascelle gemelle
l’acustico del bitemporale

Ora si addormenta
poi si sveglia e mi comanda
poi si dimentica tutto sul tavolo

Si è messo dalla parte delle idee.



[Da Era farsi, 2012]


Palermo

I

Via  Maqueda
ancora per un tratto

ancora embrione                                                                                                       
nella sua placenta

II

Palermo si fa bianca                                                                                              
Pagina su pagina

Vento di terra                                                                                                               

Cielo                                                                                                                       
tronco                                                                                                                           
sul mare

III

La pioggia sbatte sulla mia fronte:

una pagina bianca

IV

Pagina  segnata

Antenne fredde.

Al  5° piano                                                                                                             
stanza di isolamento

Cranio di  cellule sui libri                                                                                         
parole aggiunte

Nel cielo                                                                                                                   
tutto l’inverno
V

Immatricolazione  ‘76

È un vento stanotte
a farsi inseguire

È troppo
che sbatte le reti                                                                                                             
È  troppo                                                                                                                         
tra via delle Cliniche e via Alfonso Giordano

Era morto un ragazzo                                                                                                    
1° anno di corso – Matricola 131 – 

VI

Di tanto in tanto un rigo:

lingua                                                                                                                             
 il sole sull’acqua

Frammento l’autostrada
calcolo di compasso                                                                                                        
e di cemento.




La bambina

La bambina non sapeva di
bambina

La storia dentro a un pugno
scambiata tutta per errore. Così  
Come poteva essere da capo. Come
per aggirare il mondo.

Dice – Da dove  finisce –    
Da dove. Sempre con l’ultima parola
sempre senza nome  

– Prima del mondo       che c’era.         Prima –           
– E prima della terra     che c’era.         Prima –
– E prima di prima        che c’era.         Prima – 




La cin-cin-tura

E spaccano la parola in quattro    
i bambini che non hanno lingua

La cin-cin-tura il cerchio che si inventa
un suono
la sillaba che curva le parole

C’è solo da rifare tutto intorno
tradire tra di loro le risposte

Da riparare                          
senza il logopedico discorso.




Da intitolare
                                
                                      alla Sicilia

Mi dicono di scriverti più in bella
ma io ti conosco così
dalla disgrafia delle tue ossa                     

Dalle radici di mandorlo di notte a questo vento
da dove esiste tutto questo mare

E tutte le parole che hanno perso
che qualcuno fa brillare                               
Tu l’hai detto:
«da una sillaba scoperta»


II
Cominciano. Stanno cominciando
Alcuni ci sono. Ci sono   
altri
Una storia deve venire
Tutta            vera-questa-tutta              sbagliata
Mezza          vera-questa-mezza           sbagliata.



Margherita Rimi è nata a Prizzi (PA) nel 1957 e risiede in provincia di Agrigento. Poetessa, medico e neuropsichiatra infantile, svolge da anni una intensa attività di prima linea per la cura e la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, lavorando in particolare contro le violenze e gli abusi sui minori e a favore dei bambini portatori di handicap. Fa parte della redazione della rivista «Quaderni di Arenaria». Collabora alle attività della Fondazione Antonio Presti-Fiumara d’Arte-La Piramide e a varie riviste italiane di poesia: «L’Immaginazione», «Poesia», «Il Segnale». È consulente culturale del Premio Telamone di Agrigento; e componente della Commissione Medicina e Cultura presso l’Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Agrigento.  
Tra le sue raccolte di versi, sono da segnalare Per non inventarmi, prefazione di Marilena Renda, Castelvetrano-Palermo, Kepos, 2002 (Premio Speciale Cesare Pavese sezione Associazione Medici Scrittori Italiani - AMSI, 2003); La cura degli assenti, prefazione di Maurizio Cucchi, Faloppio, LietoColle, 2007; Era farsi Autoantologia 1974-2011, prefazione di Daniela Marcheschi, Venezia, Marsilio, 2012 (Premio Laurentum, 2012 e  Premio Brancati Zafferana – Segnalazione Speciale “Stefano Giovanardi”, 2013); Nomi di cosa – Nomi di persona, risvolto di copertina di Amedeo Anelli, Venezia, Marsilio, 2015. Sua anche La civiltà dei bambini. Undici poesie inedite, e una intervista, a cura di Alessandro Viti, Voghera (PV), Libreria Ticinum Editore – CISESG, 2015 (risvolto di copertina di Chiara Tommasi).                                                                       
Nel 2014 le è stato conferito il Premio Città di Sassari alla Carriera.




4 commenti:

  1. Da diversi anni la Rimi porta avanti con coraggio ed estremo rigore il suo singolare discorso poetico.
    Matrice è l'esperienza quotidiana, i rapporti umani, il contatto con il dolore e la creatività dei bambini. Sono diversi i nuclei tematici. La sua scrittura a mio avviso travalica i confini italiani e, possedendo un ampio respiro, si situa tra il migliore retaggio mitteleuropeo e la parola scabra ed essenziale di alcuni autori dell'Est( Kristof, Müller ecc.) Grazie per il rilievo alla sua opera. Antonio Pibiri

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  2. Carissimo Antonio, ti ringrazio per per la sintesi di quello che è stato fino a qui.
    margherita Rimi

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