sabato 30 novembre 2013

Beppe Ratti






Quando si leggono poeti come Beppe Ratti si capisce che la poesia italiana non è morta e nemmeno vive di arie asfittiche, respirate nel copia-incolla del poetese. Oltretutto, entrare nel suo mondo, ci fa sentire più europei, di quell’Europa della provocazione surrealista e dadaista, della fuga dall’omologazione attraverso l’intelligenza usata con humor sopraffino, e che ha – mi pare – nello sperimentalismo dei giocolieri di Oulipo uno dei referenti principali. E come tutti i patafisici, egli usa la scrittura per salvaguardare l’immaginario, con un’imperturbabilità cara a Raymond Queneau. Perfetta in tempi grami come questi: faccio mie le parole che  Brunella Eruli scrisse a proposito della pittura di Enrico Baj: “La patafisica permette di trovare […] uno spazio di quiete fra le angustie della ragione e il gran guazzabuglio del cuore”. Un’imperturbabilità che non nasce dall’indifferenza, dunque, e che anzi, in Ratti, corrisponde al rigore necessario a lasciar-essere il linguaggio nei suoi sorprendenti cortocircuiti in termini non troppo lontani di quanto fece Henry Michaux secondo la lettura di Alfredo Giuliani: egli, scrive il novissimo una quarantina di anni fa, "ha istituito quel modo di scrivere che consiste essenzialmente nel leggere i significati passanti dentro di sé" . Un’operazione simile, nell'Italia degli anni settanta, l’avevano compiuta sia Cesare Viviani, con L’ostrabismo cara e Piumana, e sia Giulia Niccolai, per esempio scrivendo Greenwich.

Beppe Ratti, in Talavera de la reina (Osteria del tempo ritrovato, 2013) si fa infatti, come i poeti appena nominati, crocevia di differenti reti comunicative e linguistiche, calamita enciclopedica che attira la parola secondo pulsione o sequenza ragionata, al fine di un agglutinare fonetico e/o semantico, di un gioco serissimo dove pancia e anima, cervello e uccello litigano e infine rubano al proprio sistema psichico-corporale un segreto altrimenti innominabile: il profondo di ciascuno di noi, sembra dirci Beppe Ratti, non si coagula in unità di senso compiuto, ma si s-catena in minuscole particelle dense di pulsione inglobate nei singoli fonemi, essi stessi nuclei energetici che non accettano remissione, né annacquamento. L’identità si scioglie in quegli snodi, legati tra loro da forze analogiche che fanno crescere il materiale linguistico dall’interno, in una libertà anarchica dove “tout se tient” secondo il dettato di Ferdiand De Saussure, che Ratti fa proprio ed espropria in un tentativo di scardinamento, così che langue e parole s'intreccino a tal punto da perdere specificità e dove il lettore, se ben disposto a questo sregolamento dei sensi e dei segni, felicemente precipita.

Nella prefazione, anzi nell'Urprefazione, Chiara Daino parla di "cosmogonia eufonica" che "concreta nella memoria e nella bocca tutta l'eredità di Demetrio Stratos, intonando una litania/liturgia propedeutica allo stato di trance, psicofisica e musicale". Parole sante per un poeta che ama l'ombra e probabilmente la taverna e il dado, ma soprattutto (almeno nell’occasione in cui l’ho incrociato: il premio Montano) passare inosservato pur nella sua fisicità inequivocabile, per darsi totalmente nei suoi fuochi verbo-schizoidi, già ben praticati nel foglio atlant idéal catraz edito da sartoria utopia, progetto tutto femminile (Manuela Dago e Francesca Genti) e, direi, genialmente lillipuziano, come lo è L'Osteria del tempo ritrovato (sottotitolo: editore\bevitore), nata nel 2012 per volontà di Camillo Valle, che pubblica "piccoli libri di poesia sperimentali" come si legge in facebook, lavorando 4 ore al giorno, per dedicare il resto del tempo alla vita: poteva Talaverna de la reina trovare un editore più simbiotico?


carnets, staccarne carne,
narcisistico accanirsi in iscariota cartastraccia:
se scrivere è scavare, varicose, sceverare crevasses
e viscere, survécu    




desidero, desidia;
indesinenter impostura proust asintoto
pastura arretra threatens (s’)impastoia
doesn’t tendesi sinderesi il tempo,
scandisce, ri/com-promette, disinnesca
pantomima impotente (mitopoièin)
il supposto -stop- empito prometeico




armoire à memoire, 
i mois-mêmes, iom-iom,
arpagone ripongo.
diario, ora d’aria: iersera persa.
stamani madeleines -lendemains?-,
inutilmente sentimentali.
imprimere rime, cardare ricordi,
ricamare carmi: nella cruna dell’ago
lo spago del s’agapò




ich bin eine bic on a bench of a beach.   
amleto, le mot: anelare arenile isolarsi elsinore.
essere, poussière, paresseuse paperasse:
sperpero dispero pordiosero prosodia rapsodo,
diaspora, disappear     




détresse raison d’être disinteresse des Esseintes;
adamo si domanda all’indomani della nominis
damnatio: nomadismo? no man’s land ?
da-sein in sand, esisterci cosa resta?
crisalide clessidra, lesser, l’essere che desidera       




(el dedo y la duda di dedalo, i dadi “did I”):
abulico belacqua boca abajo allo iabboq,
blasfemo self-abîme, à bout de souffle,
malmostoso salmo I’m almost an old man;
la biro labirinto, refe autoreferente, minotauro
mi rintano e manusturbo lo sturm und drang,                                        
pettegolo poliglotta pappagalletto      




(epithumìa):
riòrdino l’impatto del tempo,
tumefatto pattume, patemi, pitipitumpa,
ricordìno per ricordìno;
riodo l’odor di rossetto dior darsi,
àrritos sorrisetto                  




pietre partout, pretestuose, parentesi spente,
serpente, esperpento, presse-papiers, poesie, prose:
happiness happens à peines su spine (la rosa tea
satori aoristo stardust reste-t-elle delle serate ratées).
désamorcer des mots d’amour, demordere mörder




poiesi, spojasse: sui-jus, ipse-psie;      
pena penna, matita matta.                                
fari safari sfarsi, esotico tic
(fricative, stichi) tricks xtc,
passioni dissipazioni, vizi avvizzii.          
lapis solipsismo spiel:
pastoie scappatoie tespi, teschi,
tant pis.                     
salive, mot-valise, vacarme, carme,
verba bavarder, bava 
(dirimere rime, annoiato:
dittongo tongue e di fiato iato)




la cruna, l’encre en crue, quotidiane inquietudini,
pause epioùsion.
logica - caligo, doute - da’at.
anoche, un cohen dipinse, koan aniconico,
una sinopia di spine.
roveto ardente: tendere a verità 




i titoli tolti, litoti, altolì:
nier dernier, rimozione rimo -
e rimiro mir, abc acabo.          
tantalo: mai, nunca, nunc, maintenant. 
cancello nichil Ancel silence:
oudè en rìma,
ode in rima  


Beppe Ratti (1964), Milano. Ha pubblicato: Alfabeto fallibilità (Gattili), Atlant idéal catraz  (Sartoria utopia), Talaverna de la reina (Osteria del tempo ritrovato, 2013)

11 commenti:

  1. sono testi molto belli, complimenti

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  2. recensione splendida!

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  3. Un’impressione da "felicemente precipitato": scorie attive, pulite e sane messe là ad animare il presente. Grazie Stefano. Un caro saluto
    raffaele

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    1. il brulichio fono-labirin-analogico che ci emulsiona le giornate crepo-crepuscolari :-)

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  4. il gioco del limite della comunicazione che va oltre il plurilinguismo lascia il lettore attento a ciò che egli crede sia comunicazione.
    interessante l'uso delle virgole, come a cercare una sorta di sintassi possibile, di riorganizzazione 'classica' del ritmo.
    complimenti.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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    1. ciao Alessandro; i tuoi commenti sono sempre graditi.

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  5. temo di non essere in grado... ma ci riproverò.. :)

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    1. :-) lasciati andare: le parole sono piene di risorse, non per forza spendibili subito

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  6. ecco una lettura tratta dal libro. spero vi possa interessare! osteria del tempo ritrovato! vimeo.com/62872224

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