sabato 28 aprile 2012

Silvia Comoglio



La poesia di Silvia Comoglio trova nel ritmo e nel suono la sua struttura femminile, la voce suadente impostata per toccare l’orecchio e il petto al lettore. Questo accade in ogni suo libro, orchestrati per un ascoltatore disposto a compiere due azioni: immergersi nel canto, dedicandosi alla voce che chiama; impattare frontalmente i testi, trapuntati di segni grafici da decodificare. Il glossario lo troviamo nei Canti onirici (L’arcolaio, 2009), nel quale veniamo a sapere, per esempio, che “la parentesi quadra all’inizio di una composizione è un invito visivo a raccogliersi in se stessi per percepire un suono sommesso, un dire sottovoce”. Perché è appunto questo che ci chiede Silvia Comoglio: di partecipare ad un’esperienza tendenzialmente mistica, di abbandonarci ad un tempo di lettura in dialogo diretto con l’interiorità, un tempo assoluto, che pretende l’intero, il corpo e l’intelletto, l’occhio e il tatto, con l’udito in primo piano, non prima tuttavia di avere assimilato la partitura, che appare chiara quando la poetessa legge in pubblico.

L’ultimo suo libro, Bubo bubo (L’arcolaio, 2011) prosegue questa ricerca fono-grafica e semantica, collocando la scena, ancora onirica, in un bosco notturno, acquoreo, attraversato dal vento e pervaso dalle ombre, nel quale figure fitomorfe e ctonie, memori forse delle metamorfosi ovidiane, si chiamano, si rispondono, ma sempre in una indeterminatezza volutamente spaesante, come spaesante è l’amore, tema centrale dell’opera. Lo sfondo, come nei precedenti libri, è favolistico, medioevale, ma emerge in trasparenza o per brevi cenni, senza turbare la tensione primaria, che certo ha un forte legame con il mito.  Ad essere vive, infatti, sono alcune figure archetipiche, come l’albero, l’acqua, la luna, il bubo bubo, il gufo reale che tiene, qui, i fili dell’arcano, tessendo il dialogo fra le tenebre e la luce. Figura della soglia, libera alle passioni l’amante, annuncia che ogni altezza pretende la vertigine dell’abisso. La permeabilità degli opposti trova formalmente luogo nella distribuzione dei testi sulla singola pagina, due in differenti combinazioni, frammenti invero di un discorso amoroso tenuto sul filo dell’onda, il quale riverbera nel succedersi delle pagine,  di capitolo in capitolo, anzi di movimento in movimento giacché ogni sezione porta l’indicazione del tempo d’esecuzione, come in una partitura sinfonica: andante ma non troppo, presto adagio presto, passacaglia… 

Bubo bubo è anche un viaggio nell’impasto della lingua, nell’amore con il quale il poeta vive la propria lingua, metamorfica non per scelta sperimentale ma per vocazione della lingua stessa e per sensibilità acutissima del poeta. Verità che in Silvia  Comoglio diventa fondante, grembo entro cui pronunciare la pluralità degli esseri, bosco sacro in cui Dioniso e Apollo sembrano emissari di Orfeo, a testimoniare che la poesia può essere il luogo dove desiderio e misura vengono alla luce da un profondo imperscrutabile, che alimenta le differenze e con il quale il poeta intinge la lingua per intonare il canto.


Stefano Guglielmin, in "Le Voci della Luna", n.52 - Marzo 2012, p.68



Adagio

II.I


[ chiese sera la barca che non porta
gli álberi del sogno
óltre questo mondo. chiese tempo
per ardere per spazi, fúlgere a riflesso
di grávidi e stregati  - órdini di sguardi:
per coniare  - Della luna!  il giallo immaginato,
il rogo   - del fiato -   nella bocca ---

---


*

le núbi, si míschiano le nubi
nel nome che diventa
úmida cintura, vícolo che lega
etérno il ramo al bosco, la caccia
ignota di confine, dal tuo corpo
nel giorno imbavagliata: le nubi
attecchite tra le ciglia, “perpetue
- in stormo -  srotolate ---

---


II.II


quíndi    fu  fárvi     -  tútto  un cerchio sacro 
e  dárvi  - un ángolo di bacio : un lómbo : un filo d’acqua,
il suono che spalanca il soffio di una stanza [ ]

[ ]


DIS-LOCATO in réfolo di sogno
plúrimo di vita, foste órdine posposto
al fiore  - aperto a meraviglia, márgine che venne
a pianta spaventosa, a sémpre che già scosta
corólle  e ómbre  - e quésta  nuda porta: il modo esatto
di sórgere sugl’occhi  - di luce uguale a buio,
a órbita di fiato di  lunghi rematori 
misurati    in cristalli   - di singulti ―

_______




II.III



… smarrì la voce  - cóntro
del tetto  la durezza, cóntro  - del nome -
la luce    - di passaggio …




“Arrì!” arrì  negli echi  a términe di boschi,
síbilo-che-guarda l’arco già scoperto
dell’última bufera, “l’álba
che oscilla di traghetto  sedéndosi leggera
su immote  - le téste  e le ginocchia, l’álbero-lanterna
spogliato  - di notte -  per amore ―

______


II.IV


… mi soffi  - come avessi -
tutto un fango  - sulla brina, cóme
se ti fossi   - la nótte -   di púbblica fatica …




La sponda-notte ―
è gioco  già cosparso   - di ciglia
e di memoria: pioggia,  pioggia maestosa!,
a ómbra   - e violacciocca!, fúlmine che dice
le tende sbattute a caso, l’ingánno
dell’álbero a radura  - nel canto -
estivo di rumore: il lábile ridire,
talvolta, nella luce, gli improvvisi
á-liti di pietra, núdi  - e cigolanti ―
gli improvvisi    immaginarsi
matrici della trama, le térre  - elétte -
a ócchi   - di cicala ---

---


II.V


[ silén-ziami così, tessendo  - iridescente! -
l’último mio cerchio, l’último tastare
il tinnio   - enórme -  della casa quésta sola ortica
a immensa     grazia    sulla strada ―

________




“e tu ―
cucivi-soffi   in terre
di ombre successive ―
máschere ferite
nel cieco ancora affaccio
di móndo  - ereditato
álbe prive di rumore
sul ghiaccio che dilata
in ál-beri-farfalla
i sogni di radice, le stille
úmide a tumulto di ógni
guado oscuro ―



II.VI


[ : come se ti fossi  - corso di silenzio,
cifra   - che già passa -   a réfolo sull’acqua,
tra la stirpe   - dal vento -   frantumata
: come se ti fossi  - primo  giorno
di un tempo martellato, aurora  - che odora sghemba - 
di stella   - e di peccato ---

---


*

due archi  fanno storia
di luna   - già consueta: étere che tocca 
- fibrosi -  témpi  di silenzi: gli  élmi 
ritratti alle pareti, in diagrammi  
testa-altezza  ―


_________

Silvia Comoglio è nata nel 1969, vive a Verrua Savoia (TO) e lavora a Torino. Laureata in filosofia, si dedica alla pittura e all’approfondimento della lingua e della cultura russa. Finalista per la sezione “Una poesia inedita” alla XXI e XXII edizione del Premio Lorenzo Montano e seconda classificata per la sezione “B - Cantiere” alla XV e XVII edizione del Premio di Poesia Renato Giorgi, ha pubblicato le sillogi poetiche “Ervinca” (LietoColle Editore, 2005 - menzione d’onore alla XX edizione del Premio Lorenzo Montano), “Canti onirici” (L’arcolaio, 2009 - finalista alla XXVI edizione del Premio Città di Adelfia e segnalato alla XXIV edizione del Premio Lorenzo Montano) e “Bubo bubo” (L’arcolaio, 2010). Sue poesie sono apparse nell’antologia “Il segreto delle fragole. Poetico diario 2004” (LietoColle Editore, 2003), sul giornale on-line Tellusfolio, nell’annuario Tellus 29 “Febbre d’amore” (Editrice LaboS, 2008), nel blog “La dimora del tempo sospeso” e nella rivista Il Monte Analogo. E’ presente nei saggi “Senza riparo. Poesia e Finitezza” (La Vita Felice, 2009) e "Blanc de ta nuque" (Le Voci della Luna, 2011) entrambi di Stefano Guglielmin.


12 commenti:

  1. Grazie, Stefano, per il post e per la tua bellissima recensione. Grazie per aver ripercorso la mia scrittura e la mia ricerca a partire da Canti Onirici, per averla accolta, scandagliata e fatta emergere in modo così pieno e totale. Ci tengo a dirti che mi sono pienamente riconosciuta nelle tue parole e anche voglio dirti ancora un grazie per aver creduto nella mia scrittura e nella mia ricerca fin dall’inizio e per averla incoraggiata e sostenuta.
    Silvia

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  2. uno degli aspetti che ho apprezzato della poesia di Silvia è il superamento programmatico del soggetto, l'affrancarsi dall'armamentario biografico e/o psichico scegliendo senza remore per la poesia come avventura linguistica, i rischi che si corrono da questo versante - oscurità, gratuità, leggerezza - sono di gran lunga più onorevoli di quelli che attendono sul versante opposto - sentimentalismo, narcisismo, egocentrismo - e questa poesia riesce a glissarli, è il caso di dire, per cristallina virtù melodica, con lo stesso mistero del quartetto di uccellini in giardino, fischiettato per rimanere tale...
    Paolo (Donini)

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  3. Ringrazio Stefano per la perizia altissima con cui ha affrontato la preziosa scrittura di Silvia. Pentagramma quanto mai composito e impegnativo. Ma l'elemento fonico (non tanto eu-, ché talvolta, se portato a eccessi, può risultare gigioneria) è, se pur tra tematiche precise, una delle cifre più rappresentative del verso di Silvia.
    Grazie, Stefano.
    Un abbraccio alla mia autrice!

    Gianfranco

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  4. Silvia ed io ringraziamo per questi commenti.

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  5. Il libro di Silvia si chiude con una poesia che contiene queste parole:

    "Fermarsi
    prima - che rótoli la voce.
    /.../Prima
    di èssere chi tace./.../

    che dicono tutta la consapevolezza dell'autrice nella sua ferma scelta poetica di andare alla ricerca di un suono di senso che scavi in fondo a materia vitale e in alto voli anche verso sostanze immateriali, ma senza mai dimenticare la concretezza della parola che si fa voce e cosa.
    "Bubo Bubo" è poesia che rende necessaria l'esperienza della fonè
    scritta nel mondo, ma che solo la voce della poesia estrae e riesce a "dire".Il soffio delle sillabe è esistenza naturale e questa scrittura ne materializza i sensi e i sentimenti.
    Veramente un libro e una lettura eccezionali.

    Un caro saluto a tutti.
    Giorgio Bonacini

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  6. Un grazie di cuore a Paolo Gianfranco e Giorgio per i loro commenti, per aver messo in evidenza in modo così attento e acuto gli elementi essenziali della mia scrittura. E’ vero, la mia ricerca poetica è questo: un’avventura linguistica, un continuo rischiare e arrischiarsi nel suono e per il suono nel tentativo di creare e di offrire un canto, di materializzarlo anche.
    Ancora grazie, e un saluto a tutti.
    Silvia

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  7. sarebbe interessante, cara Silvia, che chiarissi come mai rimani nella poesia lineare pur insistendo tanto nel suono.

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  8. Domanda interessante, Stefano. E inaspettata. Non ho mai sperimentato una poesia diversa da quella lineare. Mi piace cercare il suono nelle parole, nelle sillabe, nella costruzione del verso, vedere quale rapporto ci sia tra suono e linguaggio e vedere quale forza e quanta possa esserci in questo rapporto, e anche fino a che punto la parola possa liquefarsi diventando suono. Però nello stesso tempo mi piace che la parola possa offrirsi e donarsi, vivere di se stessa nella sua nudità e completezza. Credo sia questo ad avermi sempre fatta rimanere nella poesia lineare, il lavorare con la parola alla ricerca del suono ma nel rispetto dell’essenza e dell’autonomia di vita della parola. E aggiungo anche che al momento non ho intenzione di sperimentare una poesia diversa da questa.
    Silvia

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  9. mi pare che la tua risposta sia chiara. grazie.

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  10. A te grazie perché mi hai dato l'occasione e la possibilità di riflettere su questo.
    Silvia

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  11. una voce che conoscevo poco e che qui mi ha colpito molto, davvero, grazie.

    A presto

    Antonio B.

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