martedì 25 febbraio 2014

Annelisa Addolorato



Uscito nel 2013 presso la Cross-Cultural Communications di New York,  My voice seeks you (traduzione di Maria Bennett e di Bill Wolak) contiene una selected poems delle due raccolte edite sinora da Annelisa Addolorato, più un inedito.
Il primo libro, Farfalle e falene (Endymion 2004) è costruito sulla voce dell’Ungaretti dell’Allegria: verso breve, rarefatto, analogico, che incontra la plasticità del classicismo, attraverso l’inclusione di figure mitologiche (Ares, Ecate, Icaro, Cassandra): figure del conflitto, già presente per altro nel titolo e nella poesia d’apertura, tra le più belle della sezione. Come scrive l’autrice nella prefazione, in Farfalle e falene prevalgono “brevi ritratti, pennellate di colore che descrivono un gesto o un viaggio, un percorso”. Nel profondo, il conflitto è anzitutto interiore, ci dice la fatica di trovare un centro, un equilibrio. La tentazione ermetica è forte e le poesie sembrano appunto vivere sotto le ali del Maestro d’Alessandria.

Stilisticamente più matura è la seconda raccolta, La parola “favilla” o la ricostruzione di Pompei (Amargord 2008), dove il dettato si fa più complesso, mettendo in gioco nuove suggestioni, prima più implicite: il conflitto tra natura e cultura, tra  eternità e caducità, la forza liberante del femminile. Questo secondo libro assume la postura sapienziale, una saggezza che forse attinge alla volontà creatrice e distruttrice di Shiva, qui incarnato nella “favilla” e nel canto: canto e favilla, in una Pompei poco prima della fine, assomigliano al fare del Dio vedico, quando crea e distrugge mondi, danzando. l’Addolorato è una studiosa e una praticante di discipline orientali, per cui non soltanto il tema identitario e la relazione fra singolarità e universalità, ma la stessa attitudine alla dimensione cosmica della parola poetica acquistano più profonda giustificazione.

“Flying Daggers”, l’unico inedito de La mia voce ti cerca, mi sembra il testo più riuscito della raccolta, nella misura in cui l’essenzialità non mima la parola pura simbolista, ma cerca il vero a partire dallo stile e dal sentire individuali, dall’essere in posizione con il corpo e il pensiero, che qui s’incarnano nella figura del Tao, della “ombra bianca e luce nera / che generano e amano senza fine”. In altre parole, nelle due precedenti raccolte la problematizzazione della cultura italiana mi sembra ancora da completare: conoscerne la declinazione poetica nel secondo novecento, con i suoi attriti materici e fattuali, i suoi scarti semantici, le sue pluralità tonali e di registro, è imprescindibile per prendere ulteriore confidenza con la crisi dell’io sul versante nostrano. Il rischio, altrimenti, è di rimanere nell’orizzonte ermetico, di cui già abbiamo una splendida e inavvicinabile stagione tra gli anni trenta e quaranta. Confrontarsi con i Novissimi, con l’ultimo Sereni e con De Angelis, per esempio, senza abbandonare le proprie radici ispaniche e l’affezione alle pratiche marziali e meditative, aprirebbe probabilmente all’Addolorato una via espressiva più originale, che non si nega alle contaminazioni con le altre culture, e non rinuncia a dialogare con la koinè italiana.


da Farfalle e falene

Ci siamo incagliati
tra le braccia
della luna
Spostando
dubbi
pieni di spine



Dagli oracoli caldaici I

Ecate
per mano
tra le onde
del buio sentire
Sussurrando
Crescono
i suoi
figli
Tessono
il velo
del cielo
cantando
il passato
D’un fiato


Da La parola “favilla” o la ricostruzione di Pompei

Uomo e donna
la tua voce
lotta
al martirio
dell’androgino
ferito

E guarisce
gli altri
senza potersi cicatrizzare.


Laus Pompeya

Sorelle nel nome e nelle origini,
le due Pompei si afferrano per la memoria
dei loro destini,
consunta, trasfigurata dal fuoco e dalla lava,
la Pompei del sud
respira nei suoi colori
Consunta e trasfigurata dalla nebbia e dal gelo indifferente,
la Pompei del nord
rinasce, tenace dama di periferia.


Nel mare indaco

Intagliare su di me lagune
d’argento
Scultura
di seta
il tuo profilo cangiante
Smagrita corteccia
di sogni incandescenti
Smarrita ogni rinuncia fiorisce l’abbandono



Elenco della spesa

Due barili di terrore
e tre caramelle tranquillanti
Cinque casse di abbracci a chi non ha il pane e ti compra le armi
Quarantamila foto contraffatte di bimbi sorridenti
Settantamila paia di bugie
double-face

Vita intossicata di speranze.


Caraffa

Siamo il nostro stesso stampo:
lui fu il nostro, noi il suo
Lo stampo del tempo
cristallizzato in un istante
assoluto e terribile,
gradito e oscuro

Abbraccio di vite: umane,
vegetali, minerali
Creature che si cercano e si sfuggono;
si donano e si tolgono il respiro

I dipinti meglio conservati,
i nostri mosaici,
tesoro protetto da ciò che ci tolse il respiro

La formula della nostra sopravvivenza
conservata in una brocca
con incisa la bella parola ‘favilla’,
che distrugge e che crea mondi.



Nel teatro—‘Ombelico di terra nera’

Gli attori stavano provando.
Mentre indossavano le maschere della commedia, i protagonisti
si accorsero troppo tardi dell’imminente tragedia.

Ferite, tagli, cicatrici
Tra le sottili ali dell’anima

Persino il tuo nome può essere una ferita
se la voce si è stancata di pronunciarlo,
oppure se non corrisponde più al corpo, o al volto
Se non gli riconosci alcun dominio
su ciò che vedi

Specchi rotti
presuntuoso mercurio
versato in stampi
ancora senza forma

Mordere le polvere,
nel salto verso l’ignoto.
Sapore di catartico zelo
d’invisibile sorgente.



Delirio di parole
che galleggiano
nel bianco spazio
della memoria

L’anima è la luce sfiorata
dalle tue labbra

Il tempo è un ammasso di luce
ingrandito dalle tue ciglia,
modellato dalla pupilla

Versando la luce
tra le tue mani

Tra il dorso
e la fonte dell’essere,
passa una nave colma di pioggia
e domande

‘Che il tempo m’immoli il suo profilo!’
E avere un punto d’appoggio
che non sia solo
il sordo schiamazzare
del tuo cuore.



Prima poesia flamenca  
o L’Atalante, omaggio a Jean Vigo-Soleá

Nell’acqua delle crome
scendemmo nella grotta,
dove galleggiavano note e accordi,
vascelli di pietra,
straziati sorrisi
L’acqua era già cresciuta,
calma e inesorabile resistenza
 a un’aria immacolata
ma incostante
Colmando specchi e spigoli con la sua concisa
e morbida leggerezza
I soffitti,
di aguzza pietra scura
e levigati mattoni rossi,
 custodivano la grotta dei ricordi
Calde voci,
mansuete
e dense di perfette passioni
si immergevano
in corolle d’attesa
E scendemmo nella grotta,
a spigolare aurore
Limpida, l’acqua continuava a scorrere
in linee verticali
Come frecce d’acciaio
puntando al nostro udito e alla nostra pelle,
carezze liquide e sonore cullavano le domande

Le loro anime potevano già nuotare,
nude e forti,
nella loro eterea danza armonica
Le collane
di gocce sottili
avevano cancellato
le inferriate della ragione
‘Scivola lentamente’
diceva il canto
‘verso le mie mani di musica’
‘Lasciati abbracciare
dai fiumi cristallini
del mio fervore appena nato’
Pietre e pareti
erano l’unica forma
che impediva di straripare
a quel profondo pozzo vocale
‘Dimentica tutto
e ricominciamo la danza
dall’incrocio dei nostri sguardi’
In silenzio
Senza fretta,
con inermi passi blu,
il miele stillava
dalla bocca aperta
della chitarra
e raggiungeva coloro che, ritualmente, erano accorsi
per ascoltare e seguire il canto modellando i nitidi gesti
del reciproco abbandono
Intaccando aria e terra
in grate solari,
ospiti inaspettati,
deboli sussurri
Nodo di carne e voce,
una mano che erano cento mani ci salutò,
stringendo le nostre,
quasi invisibili,
restituendo corpo al loro respiro Sussurro
e grido minimo della materia che pulsa e si apre al mondo
‘Non dimenticare
—mai—
la carne del mondo’
Il maturo fluire delle loro voci senza rughe,
luce invisibile
che attraversa
gli intrecciati cerchi degli anni, catene di legno e linfa
di quegli alberi umani
Il canto,
limpido racconto alato degli anziani.
Filo che unisce
sentieri e strade
Ormai libero da ogni peso
Profili estranei al tempo, antichi bambini
e antenati assopiti
nella culla dell’oggi
Voce, melograno e sospiro
Prima che la serata si spezzasse
Davanti alla soglia e al vuoto
Davanti alla sua porta
respiri in silenzio
Davanti alla tua corda
trema il suo collo di cervo innocente, pronto a fuggire di nuovo
Davanti ai nostri occhi, sotto il velo,
vacilla
il gracile potere del sentire
È d’acqua
il solido specchio
dove si vedono,
si riconoscono,
si bevono gli amanti
Nella sua immagine
la decisione dell’ancora
Scendemmo nella grotta per offrirci,
cantando muti,
alle onde
e al vortice dell’istante

Barche di seta passano,
ormai senza peso,
ormai stanche di soffrire il freddo
In cerca di quiete
incandescente.


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Flying Daggers

Il movimento sinuoso e preciso,
il delicato e deciso
rispondere ai gesti,
richiesto dalla disciplina in questione,
—Visione periferica ma
inequivocabile,
il silenzio concentrato,
totale presenza non invadente.
Un incontro
sospeso e pulito.
Leale, inatteso, puntuale.
È la danza dell’eco,
alla luce del sole:
davanti a tutti.
Fermarsi e procedere.
Tutto in tempo.
Allo specchio.
Moltiplicando gli astri
nello sguardo dell’altro.
Raccogliendo le sfide come rose pronte ad aprirsi.
A tempo.
Quando è.
Ombra bianca e luce scura
generano e amano senza fine.

Annelisa Addolorato è nata a Lodi (Italia). È cresciuta tra l’Italia e la Spagna, dove ha pubblicato due sillogi poetiche bilingui. Nel settembre 2013 negli Stati Uniti è uscito, sempre bilingue, il suo libro di poesie “My Voice Seeks you. The Selected Poems of Annelisa Addolorato” (Cross-Cultural Communications, New York). Suoi testi poetici sono stati pubblicati in varie antologie e riviste in Italia, Spagna, Germania, USA, …
Ha partecipato a vari festival poetici e realizzato molti readings in Italia, Spagna, Israele, India (Kritya Festival), Venezuela. Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue e ha al suo attivo collaborazioni con alcuni artisti (video poesia, musica, ecc.). Attualmente vive in Italia e si occupa, tra le altre cose, del progetto Navigli Poetry Slam. Attualmente è vicepresidente di Lips (Lega Italiana Poetry Slam). Scrittrice, traduttrice, dottore di ricerca in Letteratura spagnola contemporanea (Madrid), per dieci anni ha insegnato come ispanista presso le Università italiane. Suoi testi teorici (estetica, ispanismo, arte e letteratura contemporanea) sono stati utilizzati come materiali didattici universitari. Ha al suo attivo anche due monografie sulla poesia, una dedicata all’opera di Octavio Paz (Mimesis 2001), l’altra a quella di Clara Janés (Madrid 2009). Altre informazioni in www.annelisaddolorato.it .

9 commenti:

  1. Quando una poetessa denota uno stile "femminile" c'è quasi sempre qualcosa che non funziona . E' esattamente ciò che non si riscontra nel lavoro di Annelisa Addolorato , che mi sembra concreto , terrestre , diretto , sorvegliato nell'aggettivazione , insomma molto godibile .
    Mi ha fatto tanto piacere leggere e rileggere .
    E sempre in gamba Stefano , puntuale e meticoloso .
    Un saluto
    leopoldo attolico -

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    1. grazie Leopoldo. Vorrei anche, però, che non passasse sottotraccia la nota critica: Ungaretti, la sua prima voce, può ancora mettere in gioco il contemporaneo?

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  2. non posso che parlare soltanto per 'gusto'.. e per me sono troppi gli aggettivi, in alcuni testi, che mi distraggono dal senso..
    non so se pecco d'arroganza nel dire che, sia il verso brevissimo che quello esteso, non mi aprono porte.. ma alla fine è solo il mio pensiero..

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    1. è il tuo sentire, più che il tuo "pensiero": anche il tuo è un approccio al testo plausibile. Vero che il senso non può mai essere braccato, nemmeno in un testo senza aggettivi. ancora meno in una poesia ermetica (nel senso del "Campo di Marte")

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  3. io la trovo priva di personalità, troppo frammentata, evanescente.

    un elenco della spesa, appunto.

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    1. l'evanescenza e l'elenco della spesa sono inconciliabili :-)

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  4. a volte si scrivono cose superflue, nell'elenco della spesa.

    è una delle cose più difficili, scrivere solo quello che serve.

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  5. un poeta non scrive mai cose superflue, tranne per scelta poetica.

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    1. hai ragione, ma così dovrebbe essere anche l'uomo!
      l'uomo non fa mai cose superflue, tranne per scelta di vita.

      il verso così frammentato delle prime strofe si perde, inutile negarlo...forse riacquista nella seconda raccolta, dove il tono, come scrivi tu, cambia, lascia intravedere qualcosa al di la della forma...

      Siamo il nostro stesso stampo:

      I dipinti meglio conservati,
      i nostri mosaici,
      tesoro protetto da ciò che ci tolse il respiro


      anche delirio di parole mi trasmette qualcosa...
      c'è un tocco femminile molto bello, una delicatezza...

      in fondo hai ragione, il componimento risente di una disciplina rigorosa, quella delle arti marziali.

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